martedì 22 giugno 2010

Le rivoluzioni nascono così


Il sentimento di autodeterminazione dei catalani è piuttosto alto e sta crescendo vistosamente. Nel settembre scorso in un paese poco lontano da Barcellona, Arenys de Munt, si è celebrata quella che sarebbe diventata la prima di una lunga serie di consultazioni pubbliche con un successo inaspettato. Si è trattato di un referendum vero e proprio, senza valore legale perchè organizzato da associazioni private. La differenza con quelli ufficiali è nel fatto che questi, in Spagna, sono regolati molto severamente e praticamente impossibili da realizzare.
Per quanto riguarda l'autodeterminazione, la Costituzione del 1978 all'articolo 2 precisa di essere basata sulla "indissolubile unità della Nazione spagnola, patria comune e indivisibile di tutti gli spagnoli". Il sentimento nazionalista degli spagnoli in generale è assai marcato, soprattutto nei confronti di baschi e catalani che su questo hanno una visione assai diversa. Per i primi la Spagna è un solo grande paese, per gli altri l'indipendenza l'obiettivo da raggiungere.
Interessante notare il duplice sentimento che anima soprattutto i madrileni: l’anticatalanismo da un lato e il desiderio di supremazia su una regione che considerano parte integrante della loro Spagna: mentre da una parte si criticano i catalani con le loro abitudini e i loro difetti, dall'altra tutto lo stato approfitta della produttività e del gettito fiscale che questo popolo apporta, senza restituirgli in servizi quello che paga in tasse.

Immaginiamo quindi le reazioni che un referendum come questo può suscitare, in particolare quando il quesito é “Lei è d’accordo che la Catalogna diventi uno stato di diritto, indipendente, democratico e sociale integrato nell’Unione Europea?
La società catalana si è mobilitata con risultati sorprendenti, oltre un milione e mezzo di persone – su una popolazione totale di sette - ha votato finora in una consultazione popolare straordinaria, sostenuta a denti stretti dai partiti indipendentisti, e avversata da socialisti e popolari.
L’organizzazione è dal basso, in ogni paese o cittadina si costituisce un comitato -chiamato piattaforma- che organizza con fondi propri tutte le operazioni, dal reperimento dei locali a tutto il necessario per un referendum in piena regola.

I numeri parlano chiaro: fino ad oggi si è votato in 510 municipi sparsi in tutta la Catalogna, il censo elettorale era di tre milioni scarsi di cittadini dei quali ha votato il 20%.
Di questi 600.000 voti il “si” ha ottenuto il 93%, il “no” 5%.
Con numeri come questi, alle prossime elezioni per il Parlamento di Catalogna, i partiti politici tremano.
L’attivismo dei comitati non cessa e dà l’assalto alle grandi città, come ad esempio Barcellona, che per la dimensione e per il potere socialista in campo avverso, è la più difficile da conquistare.

Come si sa le rivoluzioni nascono così e questa, anche se pacifica, ha tutto l’aspetto di esserlo.