lunedì 25 ottobre 2010

Scheletri nell'armadio



La vicenda ha dell’incredibile. Nel ventunesimo secolo, con le infinite possibilità di scambio di informazioni e la disponibilità di canali televisivi via satellite, mentre la pornografia e i terrorismo viaggiano sul web quasi senza controllo, il governo valenciano combatte una guerra contro le trasmissioni dei canali pubblici provenienti dalla Catalogna solo perchè sono in lingua catalana.

Si è arrivati al sequestro dei ripetitori, con manifestazioni e picchetti dei difensori della libertà di espressione. Sembra esagerato parlare di tutto ciò in uno stato come la Spagna e non certo di qualche regime autoritario, eppure i fatti parlano chiaro.

Protagonista della lotta è Acció Cultural del País Valencià, nota anche come Acció Cultural o ACPV, un'organizzazione dedicata allo studio e promozione del patrimonio culturale, artistico del País Valencià, un patrimonio sopratutto di tipo linguistico. Una buona metà del paese parla catalano, ma la lingua di Joan Maragall qui non è tutelata come nella vicina Catalogna e ci si è inventato un nuovo idioma, il valenciano, che in realtà è solo una delle varianti del catalano.
Da oltre 20 anni Acció Cultural si occupa direttamente dell’ emissione analogica e digitale dei canali pubblici TV3 33/K3 e 3 / 24, Catalunya Radio, e iCatfm a Valencia.

Il governo valenciano ha sempre combattuto questa attività ed ha sequestrato i ripetitori installati in punti strategici. Nel giugno 2007 ha condannato l’associazione a pagare una forte multa per il suo rifiuto di cessare le emissioni e sigillato i ripetitori di Carrasqueta (Jijona, Alacantí) e di Montduver (Gandia Safor).

L’ interruzione dei segnali ha provocato reazioni da parte dei partiti all’opposizione ed anche l'Istituto Interuniversitario di Filologia Valenciana e l'Accademia della Lingua valenciana hanno criticato pubblicamente il governo, per impedire la diffusione della lingua valenciana. Tutti auspicano come urgente un accordo di reciprocità fra governi e canali televisivi, per quello che considerano come un attacco alla libertà di espressione.

La notizia di questi giorni è che il governo spagnolo avrebbe rifiutato per motivi tecnici l’Iniziativa Legislativa Popolare che tentava di legalizzare le emissioni catalane nel territorio valenciano. Vedremo cosa succederà in questo paese, formalmente democratico ma che nasconde nell’armadio sorprese come queste.

giovedì 7 ottobre 2010

Qualcosa sta cambiando



Alla fine, dopo sette anni di confronto con il nucleo più duro della Giunta comunale di Barcellona, le colonne che si trovavano sulla scalinata del Palazzo Nazionale - ora Museo Nazionale d’Arte di Catalogna torneranno al loro posto. Erano state fatte demolire dal dittatore Miguel Primo de Rivera nel 1928 perchè simbolo inaccettabile di catalanità.

Molti invedenti
Se cieco era stato un regime distruggendo le simboliche colonne, non di meno lo sono stati coloro che si sono opposti, fino all’ultimo, alla loro riedificazione. Non stiamo parlando di vecchi nostalgici dei regimi fascisti, ma di consiglieri comunali del partito che attualmente, pur se in minoranza, governa la città, il Partito Socialista di Catalogna.

Una rete di comitati
I cittadini ce l’hanno fatta. Si erano organizzati in comitato ed avevano trovato l’appoggio di centinaia di personalità della cultura e dell’economia, ed anche di gruppi in consiglio comunale sensibili alla ricostuzione di simboli importanti, dal punto di vista storico e politico. La data dell’inaugurazione, ovvero del montaggio delle colonne che sono già costruite fuori opera, è fissata per il prossimo sabato 6 novembre.

Il modello classico
A nostro avviso si tratta anche di un progetto di grande raffinatezza. L’architetto e politico Josep Puig i Cadafalch, oltre all’ordinamento urbanistico dell’area destinata all’esposizione internazionale del 1929 aveva disegnato, recuperando un linguaggio classico declinato all’uso moderno, quattro colonne ioniche con altrettante vittorie alate in bronzo sopra i capitelli che non furono mai installate, al contrario delle colonne che rimasero al loro posto fino all’anno prima dell’inaugurazione dell’expo. Un regime povero di spirito non seppe neppure sostituirle, si limitò a cancellarle forse nel timore che fossero viste dai visitatori come un simbolo troppo catalano.

Come la bandiera
Dopo oltre ottant’anni quattro colonne alte 18 metri torneranno a svettare, come le quatre barres della bandiera catalana, sulla prospettiva della collina di Montjuíc.
Strana coincidenza, proprio pochi mesi fa un milione e mezzo di persone sono scese in piazza a Barcellona per rivendicare il diritto a decidere il proprio futuro. Contando che tutta la Catalogna conta 7 milioni e mezzo di abitanti, è una buona percentuale.

Forse sta cambiando qualcosa.

domenica 3 ottobre 2010

Parlamento Europeo pulito



Vi proponiamo la traduzione di una notizia trovata nel blog in.directe.cat del deputato europeo Oriol Junqueras che ringraziamo per la segnalazione.

http://in.directe.cat/oriol-junqueras/blog/4307/una-mesura-en-contra-de-la-corrupcio

Uno dei gravi problemi della politica è la corruzione. È come un tarlo che, lentamente, distrugge la fiducia dei cittadini nei propri rappresentanti politici (legame indispensabile per la democrazia). È per questo che i deputati del gruppo gruppo Verdi-ALE, ALDE (liberali e democratici) e del Partito Socialista abbiamo proposto che non si possano eleggere candidati indagati per delitti di corruzione, abuso, incitamento al razzismo o vincoli con gruppi mafiosi. È ovvio che molti deputati utilizzano l’immunità parlamentaria per evitare la giustizia e occorre trovare una soluzione.
Detto in altre parole: non è possibile che ci siano eurodeputati condannati per incitazione all’odio razziale o per negazione dell’olocausto, comen el caso del British Nacional Party di Nick Griffin. O che ci siano parlamentari come Mario Borghezio condannati per aver bruciato un pagliaio dove vivono immigranti. Nello stesso modo che gli assistenti e i funzionari che lavorano al Parlamento Europeo devono presentare un certificato penale, gli eurodeputati dovrebbero dimostrare che non sono mai stati condannati per reati di violazione di diritti fondamentali o relazione con gruppi mafiosi. Penso che questi ultimi dovrebbero essere inabilitati ad occupare una carica parlamentaria. La deputata italiana Sonia Alfano, a cui la mafia uccise il padre negli anni Novanta lo sa meglio di chiunque altro.




Ecco la dichiarazione scritta contro la mafia presentata al Parlamento Europeo che, se approvata da più della metà dei deputati, sarà adottata.

DICHIARAZIONE SCRITTA
presentata a norma dell'articolo 123 del regolamento
5.7.2010 0059/2010

Sonia Alfano, Eva Joly, Rosario Crocetta, Rita Borsellino

Dichiarazione scritta su un Parlamento pulito

Il Parlamento europeo,
– visto l’articolo 123 del suo regolamento,
A. considerando che il Parlamento deve garantire agli elettori la massima trasparenza possibile per quanto concerne le sue attività, in linea con le migliori tradizioni del parlamentarismo europeo,
B. considerando che la necessità di trasparenza ed efficacia è maggiore a livello europeo rispetto al livello nazionale, data la delicatezza e l’importanza di tali questioni, che riguardano mezzo miliardo di persone,
C. considerando che il Parlamento condivide la responsabilità della legislazione europea in settori che comprendono la cooperazione giudiziaria e di polizia in materia penale e dovrebbe, insieme al Consiglio, tutelare e promuovere i diritti fondamentali e dei cittadini, come stabilito dalla Carta dei diritti fondamentali,
1. ritiene che tali funzioni legislative non dovrebbero essere svolte da persone già condannate, anche in prima istanza e anche se la condanna non prevede l'interdizione dai pubblici uffici;
2. ritiene necessario che i candidati alle elezioni europee non siano stati condannati per corruzione, abuso nell’esercizio di funzioni pubbliche, istigazione al razzismo o reati legati al coinvolgimento in gruppi mafiosi, nella criminalità organizzata o nel terrorismo;
3. incarica il suo Presidente di trasmettere la presente dichiarazione, con l'indicazione dei nomi dei firmatari, al Consiglio, alla Commissione nonché ai governi e ai parlamenti degli Stati membri.