martedì 25 dicembre 2012

La Catalogna, un laboratorio appassionante



L’11 settembre scorso più di un milione e mezzo di cittadini sono scesi per le strade di Barcellona in favore dell’indipendenza della Catalogna. Se facessimo una proporzione con il numero di abitanti dell’Italia, sarebbe come se a Roma si fosse concentrato un fiume di dieci milioni di cittadini. La manifestazione ha sorpreso per la partecipazione (la più imponente della storia della Catalogna e una delle più imponenti della storia recente dell’Europa stessa), per il suo carattere pacifico (non c’è stato assolutamente nessun incidente) e per la sua trasversalità. L’hanno organizzata le associazioni della società civile, e vi hanno poi aderito anche partiti politici, esponenti del governo della comunità autonoma, tutte le categorie sociali ed anche tutte le generazioni.
Lo slogan era unico per tutti: “Catalogna, prossimo stato d’Europa”.
Gli analisti politici di tutto il mondo si sono chiesti come mai accadesse tutto questo in una Catalogna, che fino a quel momento era sembrata tanto tranquilla. Molti di loro – salvo alcune eccezioni - non hanno colto in profondità quello che sta realmente succedendo. La maggior parte degli osservatori ha focalizzato l’origine della manifestazione nel solo fattore economico, ed ha ignorato un fatto fondamentale: la gente non scende in strada solo per egoismo economico regionale, c’è anche una motivazione più profonda.
La Catalogna, soprattutto dopo la costituzione di un proprio ordinamento giuridico nel 1359, ha sempre avuto coscienza di essere un paese a se stante e, dopo la perdita dell’indipendenza con la guerra di successione del 1714 ad opera dell’esercito franco-spagnolo di Filippo V di Borbone, ha costantemente cercato di ritrovare la propria libertà.
Oggi è un paese di 7,5 milioni di abitanti, con storia lingua e letteratura proprie, e anche un codice civile diverso da quello spagnolo. Dopo la conquista, però, con un decreto reale del 1716 si abolirono tutti i diritti, l’Università di Barcellona fu chiusa e si arrivò in pochi anni a proibire l’uso pubblico della lingua catalana.
È importante tener presente che in tutto questo tempo la gente ha continuato a sentire viva la coscienza di se stessa come popolo, cioè come nazione.
La rivendicazione di uno stato proprio non è una novità: da più di un secolo agiscono movimenti politici indipendentisti che sono sempre stati repressi anche con spietata violenza delle due dittature fasciste del XX secolo, di Miguel Primo de Rivera e di Francisco Franco, durata quarant’anni. La stessa costituzione democratica del 1978, ancor oggi vigente, fu il risultato di una mediazione con le forze armate, in parte ancora franchiste, che temevano proprio la secessione di baschi e catalani.
Anche in democrazia, quindi, la Catalogna ha dovuto sopravvivere in uno stato che – più o meno apertamente – ha cercato di limitare il suo desiderio di autonomia.
Nel 2010 il Tribunale Costituzionale ha abrogato dopo 4 anni di dispute – su ricorso organizzato dal Partido Popular e firmato da oltre un milione di cittadini spagnoli - una parte sostanziale dello Statuto di Autonomia di Catalogna, dopo che questo era già in vigore dal 2006 come Legge dello Stato, approvato dal parlamento spagnolo ed anche sottoposto a referendum nel territorio della comunità autonoma catalana.
In seguito a queste e molte altre vicende, il senso di appartenenza e l’indignazione del popolo catalano si sono rafforzati e di conseguenza l’indipendentismo si è ravvivato. Ciononostante si tratta di una forza pacifica, che agisce sempre senza violenza e nel rispetto delle regole democratiche e dei principi dell’Unione Europea, di cui si sente parte.
La maggioranza dei catalani – rappresentata in Parlamento da 78 deputati su 135 - chiede solo di poter fare un referendum di autodeterminazione, che il governo dello stato rifiuta di concedere.
La crisi economica è forse stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso ed ha fatto perdere la pazienza ai catalani rispetto a uno stato che non ha mai smesso di sabotare l’autonomia di questa regione limitandone le competenze, minacciando la sua politica linguistica – quando tutto il mondo l’approva – e ostacolando costantemente il suo sviluppo.
Un solo esempio fra molti: si è costruita una rete sovradimensionata di ferrovie ad alta velocità tutta rivolta alla capitale Madrid, mentre il tratto che unisce Catalogna e Francia dove passa quasi il 30% delle esportazioni spagnole non è ancora terminato e i binari esistenti – come in tutto lo stato spagnolo - non hanno nemmeno lo scartamento europeo.
Anche sulla presunta mancanza di solidarietà rispetto alle altre regioni è bene chiarire che, se i fondi statali destinati a questo scopo avevano un senso all’inizio della Transizione democratica, oggi, dopo trent’anni, sono solo strumento di voto di scambio per i partiti.  Si è arrivati al paradosso che vede regioni meno produttive continuare a ricevere aiuti pubblici arrivando a disporre di  un livello di infrastrutture e servizi superiore a quelle che le stanno aiutando.
La Catalogna di oggi è diventata un laboratorio appassionante soprattutto perché è la società civile a scandire il tempo della sua storia. Per questo, oggi, in questo paese tutti  discutono di politica e di quello che succederà nei prossimi anni.

lunedì 12 novembre 2012

I MURI CADONO





Oggi è una giornata particolare: è l'anniversario della caduta del Muro di Berlino.

Insieme al Muro cadde un regime che aveva tolto diritti e libertà a intere generazioni.

Solo pochi giorni prima, nessuno pensava che quel Muro sarebbe caduto.
Sprofondò perché, quella notte, i berlinesi decisero di scendere per le strade.
Sfidando la paura e la storia, affrontarono e demolirono quel Muro infame e si misero a ricostruire la loro città e il loro paese.
Non lo fecero contro le leggi, ma oltre le leggi. Perché le leggi non stanno sopra la gente ma devono servire la gente. 

Nessuno può fermare la forza di chi vuol decidere il proprio futuro in libertà. Nessuna costituzione. Nessun re. Nessun esercito

Oggi, anche per noi, è una giornata particolare. È cominciata la campagna per le elezioni più importanti della nostra storia. Anche noi catalani possiamo demolire il nostro Muro e costruire la nazione giusta, prospera e libera che vogliamo.

La decisione dipende da te. Il nostro futuro, adesso, è nelle tue mani.
Credi di no?

I berlinesi, quella notte del 1989, fecero così. E resero possibile l'impossibile.

lunedì 20 agosto 2012

Esportare la Catalogna


Proponiamo la traduzione dell'articolo di Vicent Sanchís, dedicato ai nostri buoni amici del Col.lectiu Emma, che si dedicano a chiarire e, in certi casi, rettificare le notizie che escono sulla stampa mondiale su vari aspetti della società catalana.

Exportar-nos al món
El Punt - Avui    19-08-2012

La questione catalana, caso, problema o riferimento, a seconda di chi la guarda, sta diventando internazionale. Finalmente. Fino ad ora la Catalogna aveva questa bilancia dei pagamenti sbilanciata. Importava modelli e riflessioni – la basca, quella del Quebec, la scozzese o qualsiasi altra si trovasse vicino – e non esportava se stessa. Adesso tutto si è capovolto. In poche settimane quattro o cinque mezzi di una certa influenza nel mondo ne hanno parlato. Della Catalogna. A favore o contro. È un primo passo necessario. Se un bel giorno questo paese vuole camminare con le sue gambe, lo dovrà fare dal riconoscimento e la comprensione internazionali. Se lo fa dall’ignoranza, ci troverà solo incomprensione. Ci penserà la Spagna. Per questo bisogna ringraziare l’enorme, silenziosa, costante ed efficace lavoro che fa il Collettivo Emma, che si è proposto di influire sulla stampa straniera combattendo i luoghi comuni abituali. I membri di questo gruppo sono fra quelle persone sensate che un giorno hanno deciso che, invece di continuare a girare intorno alla stanga, bisognava smetterla di "fare l’asino".

domenica 15 aprile 2012

Repubblica Catalana e Spagna Repubblicana

In questi giorni si sente molto parlare di repubblica, ma qui in catalogna ce ne fu una di speciale, cerchiamo di dare qualche notizia.

La Repubblica Catalana fu proclamata il 14 aprile 1931 poche ore prima che a Madrid lo fosse la Repubblica Spagnola. Dopo il trionfo elettorale del neonato partito Esquerra Republicana de Catalunya, i due dirigenti Francesc Macià e Lluís Companys occuparono i palazzi del potere, nell’attuale Plaça Sant Jaume, e dai balconi fecero l’annuncio, non senza tensioni interne.

Tre giorni dopo, con la visita a Barcellona di tre ministri del governo provvisorio di Madrid, si fece l’accordo di sostituire la Repubblica Catalana con la Generalitat con un proprio statuto di autonomia che si doveva approvare da parte del parlamento costituente.
In realtà, il gesto iniziale di Macià fu ambiguo e provvisorio, con un’abbandono graduale del tono indipendentista. Le formule utilizzate in seguito furono ad esempio “la proclamazione dello stato catalano … si integrerà alla federazione delle repubbliche iberiche”. Macià si era visto obbligato a cercare il supporto di Madrid nella nomina di nuovi responsabili locali dell’esercito, della delegazione del governo e della magistratura.
A parte lo spagnolismo dimostrato dalla maggioranza del Partito Radicale Repubblicano - e specialmente da Emiliano Iglesias - il resto delle forze politiche catalane non diedero supporto esplicito ad una repubblica indipendente ma accettarono l’autorità di Francesc Macià come parte di un negoziato con le nuove autorità repubblicane di Madrid.

libera traduzione dalla voce “República Catalana” da www.enciclopèdia.cat