domenica 5 settembre 2010
Università, lingua e normalità
La distanza della realtà catalana dalla normalità del resto dei paesi democratici si dimostra periodicamente, e per disgrazia assai spesso, con polemiche che si generano intorno ad argomenti che in una società matura non si pongono nemmeno, come la necessità di conoscere la lingua di un paese per poterci lavorare.
Le conseguenza dell’annuncio dell’approvazione di un decreto che impone ai professori universitari che vogliano ottenere un posto in Catalogna l’obbligo di dimostrare un livello di conoscenza minimo del catalano, il clamore che ne è derivato porta a pensare che dietro l’opposizione ad una cosa tanto ovvia non ci sia altro che una triste resistenza corporativa oppure un’avversione politica inaccettabile.
La ferma posizione di alcuni rettori, come quello dell’Università di Lleida, contrasta con alcune voci che si fanno scudo con un’assurdo cosmopolitismo del sapere per difendere il diritto dei docenti a non conoscere la lingua dei loro alunni che, ricordiamo, arrivano all’università con un livello di conoscenza del catalano certificato come sufficiente.
I criteri di eccellenza, discutibili, che escludono come non necessaria la conoscenza della lingua non sono altro che una copertura per nascondere la pigrizia mentale o la cattiva fede.
Il decreto del governo stabilisce una serie abbastanza ampia di meccanismi e formule per dimostrare la propria competenza linguistica. Un catalogo di facilitazioni che farebbe arrossire chiunque, figuriamoci quando è rivolto a persone di dimostrata eccellenza intellettuale. Comunque sia, il Governo della Generalitat non puó sottostare a pressioni o cedere nemmeno di un millimetro nell’approvazione di un decreto che non solo è necessario per rendere normale la vita universitaria ma soprattutto perché è un passo in più per mettere la lingua di questo paese dove dev’essere, e cioé nella più semplice normalità.
Editoriale de l'Avui domenica 5 settembre 2010
Traduzione di Marco Giralucci