dalla tesi di laurea «La qüestió catalana a la premsa italiana»
Partendo dal grande risultato della Diada dell’anno precedente, l’Assemblea
Nazionale Catalana ha organizzato nel 2013 la “Via Catalana”, una catena umana
pacifica per manifestare a favore dell’indipendenza. Quasi due milioni di
persone hanno riempito, l’11 settembre, le strade delle città catalane
(cinquecento mila partecipanti solo a Barcellona) per creare una fila di più di
400 chilometri che ha attraversato simbolicamente tutto il paese. All’estero,
anche i catalani nel mondo hanno commemorato l’anno 1714 organizzando un
centinaio di catene umane, sempre alla stessa ora: le 17:14.
La reazione è stata imponente e a tutto il
mondo è arrivata la voce della causa catalana: i
mezzi di comunicazione internazionali hanno descritto in maniera dettagliata le
motivazioni e la partecipazione e ne hanno commentato le conseguenze politiche.
Secondo il giornale online Il Post[1] i manifestanti lamentavano «un trattamento
ingiusto da parte del governo centrale di Madrid riguardo alle tasse e ad altre
questioni culturali, come lo status della lingua catalana».
In Italia tutto il gruppo parlamentare della Lega Nord ha deciso di presentarsi, proprio l’11
settembre, alla sessione del parlamento con delle magliette con l’estelada, la bandiera indipendentista. I
giornali hanno immediatamente commentato il fatto come una dimostrazione «in
sostegno dei catalani» - con le magliette definite «anti-Madrid» (Corriere
della Sera,[2] Libero[3])
– perché la Lega supportava l’iniziativa «guardando a una vittoria dei catalani
come possibilità di apertura di una secessione tra nord e sud anche in Italia».[4]
La sezione italiana dell’Assemblea
Nazionale Catalana ha
diffuso un articolo[5] dissociandosi
pubblicamente dall’avvenimento e collocandosi, fra sorpresa e preoccupazione
«al polo opposto di questo partito politico italiano di estrema destra,
xenofobo e omofobo».
Uno dei deputati della Lega Nord, Marco Rondini, ha
cercato di spiegare il motivo della manifestazione:[6]
«Per stabilire un legame ideale tra noi, popoli padani, e il popolo catalano
che da decenni è il simbolo di un autonomismo felice ed efficiente». Le motivazioni stesse
del gesto denotano mancanza d’informazione anche da parte di chi si
presenta come difensore della causa. Affermando che «L’11 settembre del 1714 si
ricorda in Catalogna la sollevazione del popolo rispetto alla dominazione
straniera...» si commette, più o meno volontariamente, un falso storico.
La questione che la Lega Nord per l'Indipendenza della Padania si possa considerare
come l’espressione in Italia di un sentimento indipendentista, trova risposta
nella sua stessa storia: è un vero e proprio partito politico nato, agli inizi
degli anni novanta, dalla confederazione di diversi movimenti regionali come la
Lega Lombarda o la Liga Veneta. Anche se tende a
presentarsi come movimento d’indipendenza simile ad altri in Europa, risponde a
un’ideologia molto diversa: se le connotazioni principali del suo programma
politico erano inizialmente l’autonomia e la secessione del Nord, ben presto le
basi della sua protesta si sono indirizzate verso la xenofobia mista al populismo
della coalizione elettorale del 1994 con Forza
Italia, il partito di Silvio Berlusconi. Dopo una rocambolesca proclamazione
unilaterale dell’indipendenza della Padania rimasta senza nessun esito pratico,
la Lega ottenne un risultato significativo verso la decentralizzazione con
l’approvazione del parlamento italiano, grazie anche ai voti del
centrosinistra, dell’articolo V della seconda parte della Costituzione (art.118).
L’abbraccio con la destra berlusconiana –
deciso forse per motivi economici – risulterà mortale, se non per il partito, almeno
per la sua lotta indipendentista. L’unico esito di una lunga permanenza al
governo con Berlusconi sarà il referendum, perso, su una legge detta di
“devolution” cioè di passaggio di competenze alle regioni. Nonostante le successive
vittorie che portano la Lega al governo nelle principali regioni del nord,
l’argomento dell’indipendenza viene chiuso nel cassetto. Nel 2012, dopo i casi
di corruzione che portano alle dimissioni di Umberto Bossi, l’idea
dell’indipendenza ritorna timidamente nei discorsi del nuovo segretario
Salvini, ma è superata dalla deriva xenofoba, evidenziata dallo slogan “Prima il Nord” adottato nel V
Congresso Federale dello stesso anno.
La storia della Catalogna, ben diversa, ha
radici, tradizioni e basi culturali medievali, e più di tre secoli di lotte con
l’unico obiettivo di recuperare l’indipendenza perduta nel 1714. Tutto ciò è
spiegato nell’articolo di Sergio Salvi pubblicato sul giornale digitale lindipendenza.com,[7]:
il pezzo compara il sentimentalismo leghista e le rivendicazioni catalane. Dopo
un interessante confronto sull’uso del termine “nazione” e “regione”, Salvi
ripercorre la storia della Catalogna in maniera rapida e sintetica, però
efficace: dal Medioevo fino ai giorni nostri si spiegano le dominazioni, la
lotta per la conquista dei territori e la divisione – a causa dell’annessione
spagnola e del seguente centralismo – in tre entità separate ma con molti
sentimenti in comune (Catalogna, Isole Baleari e Comunità Valenzana, più il
Principato indipendente di Andorra). Salvi non dimentica di dire che bisogna
distinguere la «Catalogna-regione» dalla «Catalogna-nazione», perché «nella
distrettuazione imposta da Madrid esiste una “comunità autonoma” denominata
Catalogna che ha una personalità giuridica propria, circoscritta da confini
precisi entro i quali esercita i propri poteri riconosciuti dalla costituzione
e può esprimere i suoi intenti politici in termini politico-istituzionali».
Esiste, secondo Salvi, una «coscienza nazionale unitaria», un’unica lingua
catalana, «ufficiale nella Catalogna propriamente detta, a Valenza […] e nelle
Baleari» e numerosi dialetti. Il giornalista conclude con una riflessione
indirizzata alla Lega: la lotta
politica dei catalani è una lotta nazionale e non regionale, e i padani
«dovrebbero uniformarsi a questo esempio e recuperare il tempo perduto nelle
diatribe tra veneti e lombardi […] ritrovando una unità profonda che si
nasconde dietro troppe facciate». Le mancanze del pensiero leghista si
riassumono in «una ignoranza imperdonabile», «una mitografia irresponsabile»,
«un particolarismo ingiustificabile (economicamente, culturalmente e
politicamente)», e «un realismo stolto».
Il post[8] di d'Adrià Mainar Scanu, su quest’argomento è esemplare. L’autore, storico e
archeologo, dal suo blog costruisce un’immagine storica perfetta della
Catalogna e di un’improbabile comparazione con la Lega Nord. Solida e interessante la cronaca dell’unificazione
d’Italia e i commenti che ne seguono: «non c'è stata nessuna formazione statale
o nazionale che si possa paragonare con l'idea della Padania. Lasciando da
parte la Sardegna e qualche altro territorio periferico, la maggior parte della
penisola partecipa al progetto d'unità. È per questo che evidenziamo che nella
penisola italica, prima dell'unificazione e malgrado le differenze regionali,
esisteva già (almeno nei circoli intellettuali) una coscienza di nazione multi-statale
che bisognava unire politicamente. In questo senso, i territori settentrionali
dell'Italia non solo si sentivano inclusi ma anche sono stati loro a promuovere
l'operazione», con una riflessione
finale molto attenta: «qualunque comunità politica accomunata e radicata al suo
territorio dovrebbe avere il diritto di autodeterminazione. […] Ma quello che
non potrei accettare è che si faccia riferimento a nazioni incerte o
direttamente inventate per giustificare politiche esclusiviste e xenofobe». L’indipendentismo catalano - scrive Mainar
Scanu - non è reclamato solo da un partito politico, come succede nel caso
della Lega Nord , ma corrisponde ad un gran
numero di opzioni politiche. Il caso della Padania si trova al polo
opposto, perché «il suo nazionalismo è solo rappresentato dalla Lega, partito
con delle idee che non si trovano nell’indipendentismo catalano. Così,
nell'ideologia leghista troviamo un etnonazionalismo esclusivista e xenofobo,
senza nessuna volontà di includere tra i suoi cittadini le persone foranee».
Su quest’argomento è molto deciso anche Jordi
Pujol, “padre fondatore” della Generalitat
de Catalunya moderna; nell’intervista alla giornalista Concita de Gregorio:[9]
«noi catalani non conosciamo la
xenofobia. In Italia sì, mi pare. Qui no. Il tema dell'indipendenza, al
contrario di quel che avviene altrove, anche da voi in passato con la Lega, non
ha niente a che vedere con il disprezzo dello straniero del più debole né è una
ragione solo economica».
Di un “problema Lega” parla anche Gennaro
Ferraiuolo su vilaweb.cat [10]
L’occasione è la visita in Catalogna del leader del partito e presidente della
Regione Lombardia Roberto Maroni, e il successivo colloquio con il presidente
della Generalitat Artur Mas. I
giornali spagnoli hanno ampiamente commentato la notizia, etichettandola come
«incòmoda»[11] per la
natura stessa di Maroni, definito «polémico dirigente de la Liga Norte […]
cuyas actuaciones y declaraciones han sido calificadas de abiertamente
racistas»[12] e il
professor Ferraiuolo non manca di sottolineare il comportamento dei ministri
del partito negli ultimi anni. «È razzista un partito che utilizza come
strumenti di contrapposizione politica espressioni come 'negro', 'orango',
'ebreo', 'finocchio'? Non si tratta di fenomeni di costume - gravissimo, per
una democrazia civile, considerarli tali - ascrivibili a qualche isolato
militante, ma condotte poste in essere da persone che rivestono (o hanno
rivestito) posizioni istituzionali di primissimo piano: parlamentari,
europarlamentari, ministri della Repubblica». L’accoglienza di Maroni, dal
punto di vista istituzionale, è stata molto prudente e formale (non sono stati
ammessi né giornalisti né fotografi) e inevitabilmente ha fatto tornare alla
mente il 1993, quando l’allora presidente della Generalitat Jordi Pujol non accettò di ricevere lo storico
segretario della Lega Nord Umberto
Bossi. «A dominare i commenti è una fredda cortesia istituzionale quando non
l’aperta ostilità» scrive Salvatore Antonaci[13]
in un articolo con un titolo piuttosto evocativo «La Catalogna gela Maroni,
solo cortesia istituzionale», nel quale si spiega chiaramente che le alte sfere
del parlamento catalano non hanno affatto gradito la visita e di fatto hanno
approvato la decisione di Mas di non permettere conferenze stampa congiunte né
foto ufficiali.
[4]. Vedi nota 32.
[6]. Torriero, Fabio. Rondini (Lega): «Effetto
Catalogna, i grillini bluffano. Noi i veri rivoluzionari. Guardare cosa succede
in Veneto». Intelligo.
Quotidiano indipendente di informazione. 11/09/2013.
[7]. Salvi, Sergio. Viva la grande nazione
catalana e anche quella padana. L’indipendenza. 20/10/2012.
[8]. Vedi nota 1.
[10]. Ferraiuolo, Gennaro. La visita di Maroni a
Barcellona. Informazione e propaganda. Vilaweb, 23/01/2014.
[12]. Masreal, Fidel. Mas
recibe este viernes a un polémico dirigente de la Liga Norte italiana. El Periódico. 16/01/2014.
[13]. Antonaci, Salvatore. La Catalogna gela
Maroni, solo cortesia istituzionale. L’Indipendenza. 17/01/2014.