dalla tesi di laurea «La qüestió catalana a la premsa italiana»
Concita De Gregorio, giornalista
de La Repubblica e scrittrice, lo ha
definito «un rivoluzionario in abito grigio» che non ama particolarmente la
politica e la ritiene «un male necessario […] per realizzare quel che è
possibile fare». Egli stesso si definisce
«un ottimista coi piedi per terra» e un realista. Nella sua intervista
«Divorzio alla catalana»,[1]
Mas spiega le ragioni del “divorzio” con il governo di Madrid e definisce
un processo che egli ritiene si possa compiere in maniera civile, «restando buoni
vicini». Parla anche d’integrazione e di rispetto, di un governo centrale che
non rispetta i catalani, mentre invece «le nostre tradizioni, la nostra
identità non hanno mai preteso di sopraffare alcuno. La nostra politica è
quella dell'inclusione, dell'accoglienza, da sempre, e del rispetto». Per
quanto riguarda una possibile esclusione dall’Unione Europea, Mas sostiene che
sarebbe un peccato rimanerne fuori, e che conviene «trovare un regime
transitorio per evitare l'espulsione dall'Unione. Faremmo comunque richiesta di
rientrare» perché, continua il presidente, i catalani vogliono l’euro e
vogliono anche restare nell’Unione Europea, nell’area Schengen e nella Nato. È
convinto che il referendum si farà e che vincerà il sì, perché si tratta del
«diritto ad andare a votare per esprimersi. Gli Stati sono fatti di cittadini.
Devono poter decidere».
Artur Mas ha confermato in una lettera al
quotidiano La Repubblica[2]
che «la proposta di uno stato catalano è
tutto il contrario del vittimismo» e che è, all’opposto, la necessità di
decidere il futuro dei catalani; le relazioni con l’Europa sono chiare: «siamo una nazione d’Europa, siamo europei,
vogliamo continuare ad esserlo e vogliamo esprimerlo votando». L’occasione
della lettera è emblematica: il giorno prima Mas aveva incontrato Roberto
Maroni e voleva allontanarsi dal movimento leghista e da possibili
strumentalizzazioni dopo la visita. Il movimento sobiranista non è mai stato l’espressione di un nazionalismo
etnico, vittimista e anti-spagnolo: il catalanismo «è sempre stato civile, un elemento di modernizzazione e apertura in una
Spagna tradizionalmente chiusa», e per Mas è essenziale sottolinearlo,
perché la componente xenofoba del catalanismo non è mai esistita. Alla Via Catalana, spiega, c’erano persone di
tutte le nazionalità e si potevano ascoltare una moltitudine di lingue diverse,
e questo dimostra che «la Catalogna è una
terra in cui ciò che conta veramente non è la propria origine ma il destino che
si cerca». Mas ricorda anche che gli esperti internazionali collocano il
caso catalano nel gruppo dei movimenti nazionali basati sullo “jus soli”, al
contrario dei movimenti nazionalisti etnici, escludenti e aggressivi che
rivendicano lo “jus sanguinis”. Il presidente conclude con le parole della
madre di un catalano nato in Andalusia, Fermí Santamaría, essenziali per
riassumere tutto il pensiero indipendentista: «Non dimenticare mai la terra che
ti ha visto nascere, ma lavora e lotta per quella terra che ti vedrà crescere». Nel suo discorso al consiglio nazionale del
partito Convergència Democràtica de Catalunya,[3]
Mas ha ribadito che la Catalogna non è proprietà di nessuno e che i catalani
vogliono vivere in un paese normale e governarsi autonomamente.
[1]. Vedi nota 38.
[3]. March, Oriol. Mas: "Catalunya vol
viure tranquil·la i ser un país normal". Ara.cat. 18/01/2014.