dalla tesi di laurea «La qüestió catalana a la premsa italiana»
Per
rinforzare l’importanza delle rivendicazioni per l’autodeterminazione, il 23
gennaio 2013 il Parlamento di Catalogna ha approvato la “Declaració de
sobirania i del dret a decidir del poble de Catalunya (Resolució 5/X)” che ha
l’obbiettivo di «iniciar el procés per a fer efectiu l’exercici del dret a
decidir» d’accordo con alcuni dei principi più importanti per la comunità come
la sovranità, il dialogo, la coesione sociale e l’europeismo.
Cosi si conferma la vocazione europea del
nazionalismo catalano: la prospettiva indipendentista non rifiuta il progetto
d’integrazione europea. Spesso si è provato
ad utilizzare il diritto internazionale come argomento contro un
possibile referendum sull’indipendenza, o si è insinuata l’idea che l’Unione
Europea non accetterebbe la sovranità della Catalogna. Si tratta di un problema
vero solo in parte. Il diritto internazionale e gli accordi dell’UE dettano
che, quando uno stato secede da un altro, in generale, non assume i trattati
internazionali dello stato precedente. Questo significa che, nel caso
dell’indipendenza della Catalogna dallo stato spagnolo, questa dovrebbe
cominciare un nuovo processo d’ammissione ufficiale all’Unione Europea.
Critico, informato e ben scritto
l’articolo proposto dal quotidiano digitale lindipendenza.com (traduzione di uno scritto di Robert Young, professore di
Scienze Politiche alla University of
Western Ontario pubblicato dal New
York Times), una spiegazione che riassume la situazione dei movimenti
indipendentisti europei, con lessico semplice e di facile comprensione, pur
senza essere superficiale. Qui si dice chiaramente che «l’UE non riconosce la
possibilità di secessione, né legalmente la ostacola; essa può essere vista
come un garante della stabilità economica, ma possono porzioni degli Stati
membri secedere all’interno del quadro Ue? La risposta è semplice: sì.
Formalmente gli Stati sono sovrani ed è giuridicamente possibile per ogni sub-Stato
regionale secedere». Chi non ha conoscenze di diritto in questo caso dispone di
una spiegazione ben argomentata riguardo la questione, con molti riferimenti
anche ad altri stati europei come Scozia e Belgio. Riferendosi alla Catalogna,
Young dice che, nonostante il governo centrale abbia dichiarato “illegale” e
“incostituzionale” il referendum, «l’Ue non può cambiare la regola d’adesione
per impedire un futuro veto spagnolo all’adesione catalana; né potrebbe
dichiarare che i propri trattati contemplano la Catalogna, perché gli accordi
istituzionali dovrebbero cambiare». Molto interessante è lo scritto del Corriere della Sera nel quale il
giornalista Claudio Magris manifesta le sue paure per la stabilità del sistema
europeo, rispetto ai moltissimi nuovi movimenti d’indipendenza. Se è vero che
la situazione è delicata e, sotto alcuni aspetti, pericolosa, è sempre
necessario sottolineare che il movimento catalano è democratico e pacifico ed
ha sempre espresso a voce alta solo il diritto all’autodeterminazione. Magris
esprime però un allarmismo inutile e che non ha ragione di esistere riguardo i
sentimenti catalani: «alimentati dalla crisi economica, si diffondono i miasmi
dei nazionalismi, dei particolarismi, dei localismi, delle ottuse e rancorose
velleità separatiste, nell'assurda smania che ogni nazionalità o etnia, che
devono ovviamente potersi sviluppare pienamente, debba o possa divenire uno
Stato (…) e che la chiusura in un'astiosa separatezza possa risolvere la crisi
economica». L’indipendenza non è una «smania» catalana e, nonostante le
difficoltà economiche, il fattore ideologico è sempre il più importante. Il
Col·lectiu Emma ha messo a tacere queste falsità, replicando che «la Catalogna
non vuole un cortiletto da governare per quattro politici locali: è una nazione
di 7,5 milioni di abitanti, che ha un'economia dinamica e innovativa e una
storia e una letteratura millenarie», e per quanto riguarda i rapporti con
l’Unione Europea, «se sceglierà l'indipendenza, come tante altre piccole
nazioni dell'Ue (l'Irlanda, il Portogallo, il Belgio, l'Olanda) sarà pronta a
negoziare e a cedere sovranità a Bruxelles per il bene comune dell'Europa».
Il giornale online giornalettismo.com cambia radicalmente
il livello della discussione, proponendo un’analisi con poca informazione,
estremamente di parte e senza contraddittorio. Pretenderebbe di essere
un’intervista agli immigrati della Catalogna per capire gli eventuali problemi
ai quali andrebbero incontro dopo l’indipendenza (e il referendum), però si
rivela essere una critica sterile e senza fonti. Torna a ripetersi lo
stereotipo del catalano avido, interessato solo al beneficio economico della
separazione dalla Spagna, senza fare nessun riferimento ai temi linguistici e
identitari. Le rivendicazioni dei politici che vogliono l’indipendenza «si
spiegano con le ottime cifre catalane in campo economico: ogni anno la
produzione annuale vale circa 260 miliardi di dollari in beni e servizi.
Statistiche alla mano, l’economia di una Catalogna indipendente sarebbe più competitiva
rispetto a una dozzina di paesi dell’Europa a 27 membri».
Quando si parla di economia, e
in particolare di economia politica, spesso viene presentato il punti di vista
di Madrid, con inevitabili conseguenze sull’efficacia della descrizione. Così
fa globalist.it proponendo interviste
alla “gente della strada”, senza commenti né spiegazioni alle dichiarazioni
degli intervistati. «A Madrid sono in pochi a prendere sul serio le
rivendicazioni di Mas per una Catalogna indipendente, sottolineando però i rischi
di un effetto domino in altre aree del paese, a cominciare dai Paesi Baschi»:
c’è una profonda differenza fra le rivendicazioni dei Paesi Baschi e della
Catalogna e – lungo tutta la storia della Spagna – sono state proposte
differenti punti di vista. La Catalogna e i catalani non hanno mai supportato
l’uso della violenza e hanno sempre cercato di mantenere il dibattito il più
pacifico e aperto possibile. «Quello che davvero Mas vuole ottenere sono nuove
concessioni dal governo, una maggiore autonomia e un regime fiscale più
vantaggioso» dice uno degli intervistati, mentre un’altra spiega: «La
prospettiva di una Catalogna indipendente non sta in piedi. E proprio per il
fatto che le rivendicazioni sono di tipo economico. Che faranno stamperanno una
valuta nuova? Di certo non potranno usare l'euro». Questa argomentazione non è
supportata in nessuna maniera, e l’articolo non spiega ne contestualizza le
parole della “gente della strada”.
Il 12 dicembre 2013, cambio di programma per il
Parlamento catalano: l’accordo, da sempre dichiarato impossibile da realizzare,
fra i partiti Esquerra Repúblicana de
Catalunya e la coalizione Convergència
i Unió democràtica de Catalunya è stato raggiunto ed ora il referendum è un
obbiettivo sempre più vicino, «gli
indipendentisti fanno sul serio». Quello stesso giorno il presidente della Generalitat convoca una conferenza
stampa assieme ai portavoce dei partiti che lo sostengono (CDC, UDC, ERC, ICV,
EUiA i CUP) e spiega ai mezzi di comunicazione che la maggioranza del parlamento
concorda con la celebrazione del referendum il 9 novembre 2014. «Trecento anni
dopo la simbolica sconfitta del 1714 e la forzata soggezione politica, i
catalani sfidano il governo spagnolo armati con la democrazia ed il pacifismo».
L’intesa raggiunta prevede una doppia
domanda: rispondendo affermativamente alla prima “Vuole che la Catalogna sia
uno Stato?” si può continuare precisando il proprio pensiero sulla relazione
con lo stato spagnolo: ”In caso di risposta affermativa, vuole che questo Stato
sia indipendente?”.
Si tratta, evidentemente, di un quesito
piuttosto insolito, ma permette al presidente Mas di tenere insieme 87 dei 135 deputati
del parlamento, in un compromesso fra le varie tendenze. Alcuni dei partiti,
infatti, sono per la creazione di uno stato all’interno di una confederazione
spagnola, ed altri propendono per uno Stato sovrano e indipendente. In Italia
pochi se ne accorgono, ma c’è chi afferma che, stavolta «Gli indipendentisti
fanno sul serio».[1]
Il governo spagnolo non
tarda a rispondere, e lo fa attraverso il Ministro della Giustizia Alberto
Ruiz-Gallardón: «la consulta no se celebrará porque nuestra Constitución no
autoriza a ninguna comunidad autónoma a someter a consulta o referéndum
cuestiones que afectan a la soberanía nacional y cuya disposición nos corresponde
a todos los españoles».[2]
Secondo le statistiche, però, più del 75% dei
catalani con diritto di voto è a favore del referendum. Rilevante il fatto che
la pagina web della Rai, rainews.it[3] utilizzi le stesse argomentazioni del
ministro, con il titolo «Catalogna, l'indipendenza svanita» e spieghi
che il referendum non sarà realizzato. È evidente che, nella stesura del
servizio, sono state utilizzate solo fonti informative ufficiali dello stato,
senza prendere in considerazione quelle della Comunità autonoma.
Il giornale digitale Il Post,[4]
riporta la notizia in altro modo, commentando con molti dettagli il meccanismo
di voto con la domanda disgiunta, spiegando che «per approvare la proposta
dell’indipendenza della Catalogna ci debba essere la maggioranza dei “sì” in
entrambe le domande», così «i federalisti non indipendentisti […] potranno
quindi votare “sì” alla prima domanda e “no” alla seconda. Con questo voto in
pratica si chiede un livello di autonomia ancora maggiore di quello di cui
beneficia oggi la Catalogna, ma senza chiedere l’indipendenza». L’articolo, pur
riportando i fatti in maniera corretta, fa riferimento solo a due giornali di
Madrid – il superconservatore e vicino al governo El Mundo, ed il progressista El
Pais, legato al PSOE – diversi fra loro ma accomunati dalla concezione sull’indivisibilità
della Spagna. L’autore comunque presenta un quadro ampio e corretto: «I
catalani lamentano un trattamento ingiusto da parte del governo centrale di
Madrid riguardo alle tasse e ad altre questioni culturali, come lo status della
lingua catalana. Il loro malcontento verso il governo spagnolo è aumentato
negli ultimi anni, durante la crisi economica che ha colpito profondamente
anche la Catalogna, ed è cresciuto ulteriormente nel 2013 a causa dello
scandalo della contabilità segreta tenuta per anni dal Partito Popolare
spagnolo, la forza politica al governo, in cui tra gli altri è rimasto
coinvolto anche il suo leader, Mariano Rajoy».
L’agenzia di stampa tmnews.it[5]
pubblica un estratto dell’intervista del giornale catalano Ara all’ex allenatore blaugrana Pep Guardiola, molto
rispettato per le sue doti di leader sportivo, che non fa mistero delle sue
idee sul referendum: «Non c'è atto più democratico, ha affermato sottolineando
che anche "chi non è d'accordo con l'indipendenza del paese avrà
un'opportunità unica e irripetibile di esprimersi". "Le leggi
cambiano e sono i popoli che lo chiedono", ha spiegato l'allenatore
catalano. »
Il giornalista Stefano Magni del quotidiano
online L’Opinione delle Libertà[6] è informato e tempestivo: il
giorno successivo all’annuncio del referendum dipinge un affresco della
situazione molto fedele definendo con precisione le posizioni: «il Partito
Popolare, tradizionalmente, è il più centralista. Se il Partito Socialista,
almeno, si dimostra più permeabile sull’autonomia, anche se non
sull’indipendenza, i popolari, avendo assorbito anche un pezzo di politica
franchista, vogliono la monarchia spagnola una e indivisibile». Magri crea un
quadro degli scenari possibili e delle divisioni interne ai partiti, anche
rispetto alle reazioni del governo spagnolo: «Volendo, potrebbero votare e
proclamare unilateralmente la nascita di una Catalogna indipendente a
maggioranza qualificata, se solo superassero le loro divisioni ideologiche fra
moderati (Artur Mas), radicali (Sinistra Catalana) e sinistra comunista. In un
referendum l’indipendentismo vincerebbe facilmente. Se Madrid dovesse opporsi
frontalmente al referendum, le prossime elezioni catalane, previste per il
2016, diverrebbero un plebiscito indipendentista» ma azzarda un pronostico
drammatico, forse troppo: «E da lì alla guerra civile il passo è molto breve».
In chiusura, il giornalista propone una riflessione, forse pessimista ma
sostanziale, «Se mai dovesse vincere la
secessione di Barcellona, con un referendum o con una proclamazione
parlamentare, tutti gli indipendentisti europei (compresi i nostri veneti)
avrebbero un precedente da sventolare contro i loro governi centrali. Se, il 9
novembre 1989, la caduta del muro di Berlino segnò l’inizio dello sgretolamento
del blocco europeo orientale, il 9 novembre 2014 l’indipendenza catalana
potrebbe significare l’inizio del crollo di quello occidentale. Ecco perché
l’Ue e la Nato si opporranno il più possibile».
Il rapporto con l’Europa è un tema piuttosto controverso,
ma che merita una spiegazione esaustiva, seppur breve: è evidente che il
governo dello stato continuerà ad opporsi all’indipendenza, e per questo non
concederà nemmeno la discussione di un progetto di legge che permetta alla
Catalogna di legittimare il referendum. La Costituzione spagnola – questo è il
principale ostacolo – stabilisce che su argomenti di questo tipo si esprima il
popolo spagnolo, e in tale circostanza il risultato sarebbe assolutamente
prevedibile.
La questione, dal punto di vista
internazionale, è però differente: esistono interpretazioni secondo le quali un
territorio che secede da uno Stato membro si collocherebbe automaticamente
fuori dall’Unione Europea con la necessità di una nuova trattativa per il suo
ingresso. In base a questa ipotesi, la Spagna – come stato membro dell’UE –
potrebbe porre il veto all’ammissione del “nuovo stato catalano”.
Ci sono anche altre possibili motivazioni che
indurrebbero l’Europa ad ostacolare il processo d’ammissione della Catalogna.
La rottura dell’unità degli stati membri è, in modo del tutto evidente,
un’incognita per il futuro. Non è chiaro se gli abitanti di un territorio che
secede perdano o meno lo status di cittadini europei, e questo avrebbe ripercussioni
sull’equilibro di alcune regioni. Esistono soprattutto timori di instabilità
interna in stati che potrebbero vedere rianimati i sentimenti di autonomia dei
loro territori.
Gioca a favore della Catalogna quello che
forse è il più importante dei fattori: un ipotetico stato catalano indipendente
all’interno dell’Unione Europea farebbe comodo alle casse dell’Europa, e di
conseguenza della stessa Spagna, e probabilmente soddisferebbe tutti i
requisiti di “europeità” necessari all’ammissione. Sarebbe più realista,
quindi, che il governo spagnolo si impegnasse per trovare un accordo, fatto che
porterebbe ad una soluzione anche su scala europea.
Delle relazioni con l’UE parla anche
l’articolo de L’indro[7] con un titolo poco contestualizzato, «Catalogna
verso l’indipendenza ma povera», e un contenuto abbastanza confuso: una
Catalogna indipendente necessiterebbe di una nuova moneta e dovrebbe
rinegoziare i precedenti trattati con l’Unione. Questo processo, continua il
pezzo, «sarebbe presumibilmente ostacolato dalla Spagna e dunque ancora più ostico
per il neonato stato catalano. Ma l’entrata nell’UE è un fattore
imprescindibile per la Catalogna che, altrimenti, dovrebbe pagare dazi sulle
proprie merci per le esportazioni e le proprie imprese verrebbero, nuovamente,
svantaggiate».
Di «strada tutta in salita» parla anche
Carlos Garcia nel quotidiano economico Oggi.[8] Le
difficoltà della Catalogna si spiegano con il fatto che «Madrid possiede quasi
tutti gli strumenti legali per opporsi, primo fra tutti il fatto che un governo
regionale non ha la competenza di indire un referendum» e questa tesi ha un
fondamento: nel diritto costituzionale interno è difficile immaginare
l’esistenza di un percorso giuridicamente giustificato a rompere l’unità di un
ordinamento statale, ed è questo il motivo per cui il governo di Madrid insiste
nel parlare dell’impossibile legittimazione di una consulta capace di
distruggere l’equilibrio dello stato. Il presidente Mariano Rajoy – continua
l’articolo – potrebbe presentare «un ricorso al tribunale costituzionale contro
l'eventuale convocazione di una consultazione popolare che comporti la modifica
dell'assetto istituzionale di un paese». I partiti indipendentisti avrebbero la
possibilità, in questo caso, di utilizzare l’alternativa delle elezioni
regionali anticipate per «far dire implicitamente agli elettori che, votando
per un partito nazionalista, votano anche per l'autodeterminazione. Una mossa
che non avrebbe alcun valore legale ma, di certo, un peso politico», conclude
Garcia.
Il giornalista Ettore Siniscalchi annuncia
una diversa prospettiva nell’articolo di europaquotidiano.it[9] nel quale pone l’attenzione sulle numerose «spinte
autonomiste che percorrono la penisola iberica» che potrebbero tornare a farsi
sentire in occasione del referendum catalano. Il resto del pezzo è una
panoramica delle posizioni politiche dei partiti e delle coalizioni che mette
in evidenza i diversi interessi riguardo la consultazione, e quali sono i
motivi politici che spingono in specifiche direzioni. Il progetto di riforma di
alcuni e le volontà di autonomia di altri si scontrano inevitabilmente e –
nella maggior parte dei casi – non trovano un compromesso.
Euronews.com[10] pubblica le dichiarazioni di José Manuel
Barroso, presidente della Comissione Europea, in risposta a una lettera che il
presidente Mas aveva inviato ai principali leader internazionali con
l’obiettivo di sensibilizzarli sulla questione catalana: «Non rientra nel mio
ruolo [...] esprimere opinioni o incoraggiamenti in merito a una questione che
riguarda l’organizzazione costituzionale di uno Stato membro». Nella sua
lettera il presidente catalano confidava nel supporto dei paesi europei per
«incoraggiare questo passo pacifico, democratico e trasparente, al quale siamo
profondamente dediti sia io che la vasta maggioranza dei catalani».
Secondo l’analista politico Antoni
Gutiérrez-Rubí, intervistato da Francisco Fuentes di Euronews, la
strategia di Mas è di dimostrare ai capi
di governo europei che il governo di Madrid «non permette, in alcun caso, che
una regione come la Catalogna possa decidere sul suo futuro e sulle sue
relazioni con la Spagna» e che, di conseguenza, lo stesso governo e i partiti
«dovranno spiegare e dimostrare perché in Spagna non è possibile fare quello
che si è fatto nel Regno Unito».
[1]. Lupi, Andrea; Morena, Pierluigi. Catalogna:
gli indipendentisti fanno sul serio. Il Fatto Quotidiano. 16/12/2013.
[2]. Elordi Cué, Carlos.
Rajoy: “Esa consulta es inconstitucional y no se va a celebrar”. El País. 12/12/2013.
[4]. Il referendum sull’indipendenza della
Catalogna. Il Post.
12/12/2013.Catalogna, Guardiola: referendum indipendenza
atto democratico. Agenzia Tm
News. 13/12/2013.
[9]. Siniscalchi, Ettore. Madrid e l’Europa
provano a fermare il referendum catalano. Europa Quotidiano. 17/12/2013.