mercoledì 26 gennaio 2011

Sicilia e Catalogna, vocazioni a confronto

di Bianca Favaloro*



L’analisi dei  percorsi storico-costituzionali che attraverso due secoli hanno portato al riconoscimento istituzionale delle peculiarità siciliane e catalane, porta a dire che i punti di partenza delle due erano notevolmente diversi, e nonostante ciò si arrivò ad un risultato in parte simile. Nel XIX secolo le realtà siciliana e catalana apparivano ad un attento osservatore piuttosto dissimili per ciò che concerne le dinamiche sociali ed economiche, cosa che influì sicuramente anche nel modo di porsi nei confronti dei Governi Nazionali di riferimento.  La Sicilia era economicamente legata al latifondo e la classe sociale di riferimento era di conseguenza l’aristocrazia terriera, con i suoi valori ed interessi. La Catalogna, al contrario, aveva saputo approfittare di varie congiunture economiche favorevoli fino a diventare la regione più avanzata della Spagna. Questo comportava la preminenza della classe borghese sulle altre, ed il conseguente sviluppo dei valori ed interessi ad essa pertinenti. Le prime Costituzioni siciliane erano quindi espressione di questa realtà aristocratica, i primi progetti di Statuti catalani invece erano molto più progressisti, legati allo sviluppo delle teorie federaliste e regionaliste dell’epoca, e molto attenti anche alla crescente forza sociale della classe operaia. Inoltre, subito dopo l’unificazione italiana, la Sicilia si inserì fiduciosa nel contesto di governo, in Catalogna invece la spinta autonomista non cessò mai. Si moltiplicarono i progetti di Statuto d’autonomia, anche molto avanzati, dal progetto federalista di Almirall del 1868, a quello del 1883 legato alla Costituzione della prima repubblica spagnola, e per finire alla Basi di Manresa del 1892, principi su cui meditare sulla strada del regionalismo. All’inizio del XX secolo le criticità della situazione siciliana divennero sempre più evidenti tanto da far parlare di “questione meridionale”, e si moltiplicarono le teorie di politici e letterati dell’epoca sulle cause e possibili soluzioni. In Catalogna le spinte autonomiste diventavano sempre più concrete, tanto da arrivare ad una rara convergenza d’intenti tra governo centrale e Catalogna che portò all’elaborazione ed approvazione del progetto della Mancomunitat catalana nel 1914, un’integrazione tra le differenti aspirazioni autonomiste. Lo Stato non delegava né servizi né poteri, né tantomeno la gestione delle finanze. Senza attribuzioni politiche né legislative e con limiti riguardanti le competenze e le finanze, riuscì a porre, malgrado tutto, le basi per la costruzione di una Catalogna autonoma.
Dopo la fine della prima guerra mondiale, si moltiplicavano le richieste da parte dei partiti catalani per l’elaborazione di uno Statuto d’autonomia. Davanti a tutte queste pressioni, il governo Romanones costituì una commissione incaricata di redigere uno Statuto, alla quale i politici catalani non presero parte, ma anzi convocarono l’assemblea della Mancomunitat, col compito di redigerne  un altro. C’era una discrepanza giuridica notevole tra i due progetti. Il progetto di Statuto elaborato dai Catalani nel 1919 esprimeva la volontà d’autonomia politica, mentre l’ordinamento spagnolo permetteva solo un più ampio decentramento amministrativo. Il pericolo rivoluzionario incalzava ed il progetto non fu mai votato. Dopo la prima guerra mondiale entrambe le regioni furono oppresse da dittature che ne condizionarono i progetti. In Italia il ventennio fascista mise a tacere ogni forma di dissenso e di decentramento politico, tanto che alla fine della dittatura le istanze separatiste siciliane, sopite dal 1848, presero forza e vigore e furono infine riconosciute dalla nuova classe politica con lo Statuto d’autonomia Speciale del 1946. La Catalogna visse due regimi dittatoriali. Il primo di Primo de Rivera, fino al 1932, che comportò la perdita delle prerogative assegnate alla Mancomunitat. Successivamente, fino al 1939, la Catalogna fu in grado di governarsi da sè, arrivando all’elaborazione ed approvazione del suo primo Statuto d’autonomia entrato in vigore, quello del 1932. Poi la guerra civile portò alla dittatura di Franco, che oppresse la regione fino al 1978, pur non frenando mai le dissidenze che continuarono anche dall’estero, con la creazioni di veri e propri governi della Generalitat. Nel 1978 anche la Catalogna ottenne lo Statuto d’autonomia, molto avanzato e recentemente modificato. Entrambe hanno subito il tentativo di ingerenza da parte dello Stato, e fino ad ora solo la Catalogna è riuscita a dotarsi di uno Statuto d’autonomia più vicino alle esigenze odierne, mentre quello Siciliano è stato superficialmente modificato nel 2001, e si attende ancora una sua modifica consistente, tanto da prevedere anche la regolazione dei rapporti con l’Unione Europea, già regolati da quello Catalano del 2006. La sentenza emessa nel luglio 2010 dalla Corte costituzionale spagnola  ha bocciato alcuni articoli del nuovo Statuto di autonomia catalano, tra i quali il concetto di Nazione e il carattere di lingua preferenziale del catalano rispetto allo spagnolo, provocando manifestazioni di massa in tutta la catalogna. Un tentativo per riportare indietro le lancette della storia?

Bianca Favaloro si è laureata in scienze politiche all’Università di Messina con la tesi di laurea "Sicilia e Catalogna: due statuti d'autonomia a confronto" da cui ha tratto l'articolo che pubblichiamo.