venerdì 15 agosto 2014

Referendum e Unione Europea

di Giulia Villabruna  
dalla tesi di laurea «La qüestió catalana a la premsa italiana»


Per rinforzare l’importanza delle rivendicazioni per l’autodeterminazione, il 23 gennaio 2013 il Parlamento di Catalogna ha approvato la “Declaració de sobirania i del dret a decidir del poble de Catalunya (Resolució 5/X)” che ha l’obbiettivo di «iniciar el procés per a fer efectiu l’exercici del dret a decidir» d’accordo con alcuni dei principi più importanti per la comunità come la sovranità, il dialogo, la coesione sociale e l’europeismo.
Cosi si conferma la vocazione europea del nazionalismo catalano: la prospettiva indipendentista non rifiuta il progetto d’integrazione europea. Spesso si è provato  ad utilizzare il diritto internazionale come argomento contro un possibile referendum sull’indipendenza, o si è insinuata l’idea che l’Unione Europea non accetterebbe la sovranità della Catalogna. Si tratta di un problema vero solo in parte. Il diritto internazionale e gli accordi dell’UE dettano che, quando uno stato secede da un altro, in generale, non assume i trattati internazionali dello stato precedente. Questo significa che, nel caso dell’indipendenza della Catalogna dallo stato spagnolo, questa dovrebbe cominciare un nuovo processo d’ammissione ufficiale all’Unione Europea.
Critico, informato e ben scritto l’articolo proposto dal quotidiano digitale lindipendenza.com (traduzione di uno scritto di Robert Young, professore di Scienze Politiche alla University of Western Ontario pubblicato dal New York Times), una spiegazione che riassume la situazione dei movimenti indipendentisti europei, con lessico semplice e di facile comprensione, pur senza essere superficiale. Qui si dice chiaramente che «l’UE non riconosce la possibilità di secessione, né legalmente la ostacola; essa può essere vista come un garante della stabilità economica, ma possono porzioni degli Stati membri secedere all’interno del quadro Ue? La risposta è semplice: sì. Formalmente gli Stati sono sovrani ed è giuridicamente possibile per ogni sub-Stato regionale secedere». Chi non ha conoscenze di diritto in questo caso dispone di una spiegazione ben argomentata riguardo la questione, con molti riferimenti anche ad altri stati europei come Scozia e Belgio. Riferendosi alla Catalogna, Young dice che, nonostante il governo centrale abbia dichiarato “illegale” e “incostituzionale” il referendum, «l’Ue non può cambiare la regola d’adesione per impedire un futuro veto spagnolo all’adesione catalana; né potrebbe dichiarare che i propri trattati contemplano la Catalogna, perché gli accordi istituzionali dovrebbero cambiare». Molto interessante è lo scritto del Corriere della Sera nel quale il giornalista Claudio Magris manifesta le sue paure per la stabilità del sistema europeo, rispetto ai moltissimi nuovi movimenti d’indipendenza. Se è vero che la situazione è delicata e, sotto alcuni aspetti, pericolosa, è sempre necessario sottolineare che il movimento catalano è democratico e pacifico ed ha sempre espresso a voce alta solo il diritto all’autodeterminazione. Magris esprime però un allarmismo inutile e che non ha ragione di esistere riguardo i sentimenti catalani: «alimentati dalla crisi economica, si diffondono i miasmi dei nazionalismi, dei particolarismi, dei localismi, delle ottuse e rancorose velleità separatiste, nell'assurda smania che ogni nazionalità o etnia, che devono ovviamente potersi sviluppare pienamente, debba o possa divenire uno Stato (…) e che la chiusura in un'astiosa separatezza possa risolvere la crisi economica». L’indipendenza non è una «smania» catalana e, nonostante le difficoltà economiche, il fattore ideologico è sempre il più importante. Il Col·lectiu Emma ha messo a tacere queste falsità, replicando che «la Catalogna non vuole un cortiletto da governare per quattro politici locali: è una nazione di 7,5 milioni di abitanti, che ha un'economia dinamica e innovativa e una storia e una letteratura millenarie», e per quanto riguarda i rapporti con l’Unione Europea, «se sceglierà l'indipendenza, come tante altre piccole nazioni dell'Ue (l'Irlanda, il Portogallo, il Belgio, l'Olanda) sarà pronta a negoziare e a cedere sovranità a Bruxelles per il bene comune dell'Europa».
Il giornale online giornalettismo.com cambia radicalmente il livello della discussione, proponendo un’analisi con poca informazione, estremamente di parte e senza contraddittorio. Pretenderebbe di essere un’intervista agli immigrati della Catalogna per capire gli eventuali problemi ai quali andrebbero incontro dopo l’indipendenza (e il referendum), però si rivela essere una critica sterile e senza fonti. Torna a ripetersi lo stereotipo del catalano avido, interessato solo al beneficio economico della separazione dalla Spagna, senza fare nessun riferimento ai temi linguistici e identitari. Le rivendicazioni dei politici che vogliono l’indipendenza «si spiegano con le ottime cifre catalane in campo economico: ogni anno la produzione annuale vale circa 260 miliardi di dollari in beni e servizi. Statistiche alla mano, l’economia di una Catalogna indipendente sarebbe più competitiva rispetto a una dozzina di paesi dell’Europa a 27 membri».
Quando si parla di economia, e in particolare di economia politica, spesso viene presentato il punti di vista di Madrid, con inevitabili conseguenze sull’efficacia della descrizione. Così fa globalist.it proponendo interviste alla “gente della strada”, senza commenti né spiegazioni alle dichiarazioni degli intervistati. «A Madrid sono in pochi a prendere sul serio le rivendicazioni di Mas per una Catalogna indipendente, sottolineando però i rischi di un effetto domino in altre aree del paese, a cominciare dai Paesi Baschi»: c’è una profonda differenza fra le rivendicazioni dei Paesi Baschi e della Catalogna e – lungo tutta la storia della Spagna – sono state proposte differenti punti di vista. La Catalogna e i catalani non hanno mai supportato l’uso della violenza e hanno sempre cercato di mantenere il dibattito il più pacifico e aperto possibile. «Quello che davvero Mas vuole ottenere sono nuove concessioni dal governo, una maggiore autonomia e un regime fiscale più vantaggioso» dice uno degli intervistati, mentre un’altra spiega: «La prospettiva di una Catalogna indipendente non sta in piedi. E proprio per il fatto che le rivendicazioni sono di tipo economico. Che faranno stamperanno una valuta nuova? Di certo non potranno usare l'euro». Questa argomentazione non è supportata in nessuna maniera, e l’articolo non spiega ne contestualizza le parole della “gente della strada”.
Il 12 dicembre 2013, cambio di programma per il Parlamento catalano: l’accordo, da sempre dichiarato impossibile da realizzare, fra i partiti Esquerra Repúblicana de Catalunya e la coalizione Convergència i Unió democràtica de Catalunya è stato raggiunto ed ora il referendum è un obbiettivo sempre più vicino,  «gli indipendentisti fanno sul serio». Quello stesso giorno il presidente della Generalitat convoca una conferenza stampa assieme ai portavoce dei partiti che lo sostengono (CDC, UDC, ERC, ICV, EUiA i CUP) e spiega ai mezzi di comunicazione che la maggioranza del parlamento concorda con la celebrazione del referendum il 9 novembre 2014. «Trecento anni dopo la simbolica sconfitta del 1714 e la forzata soggezione politica, i catalani sfidano il governo spagnolo armati con la democrazia ed il pacifismo».



L’intesa raggiunta prevede una doppia domanda: rispondendo affermativamente alla prima “Vuole che la Catalogna sia uno Stato?” si può continuare precisando il proprio pensiero sulla relazione con lo stato spagnolo: ”In caso di risposta affermativa, vuole che questo Stato sia indipendente?”.
Si tratta, evidentemente, di un quesito piuttosto insolito, ma permette al presidente Mas di tenere insieme 87 dei 135 deputati del parlamento, in un compromesso fra le varie tendenze. Alcuni dei partiti, infatti, sono per la creazione di uno stato all’interno di una confederazione spagnola, ed altri propendono per uno Stato sovrano e indipendente. In Italia pochi se ne accorgono, ma c’è chi afferma che, stavolta «Gli indipendentisti fanno sul serio».[1]

Il governo spagnolo non tarda a rispondere, e lo fa attraverso il Ministro della Giustizia Alberto Ruiz-Gallardón: «la consulta no se celebrará porque nuestra Constitución no autoriza a ninguna comunidad autónoma a someter a consulta o referéndum cuestiones que afectan a la soberanía nacional y cuya disposición nos corresponde a todos los españoles».[2]
Secondo le statistiche, però, più del 75% dei catalani con diritto di voto è a favore del referendum. Rilevante il fatto che la pagina web della Rai, rainews.it[3] utilizzi le stesse argomentazioni del ministro, con il titolo «Catalogna, l'indipendenza svanita» e spieghi che il referendum non sarà realizzato. È evidente che, nella stesura del servizio, sono state utilizzate solo fonti informative ufficiali dello stato, senza prendere in considerazione quelle della Comunità autonoma.
Il giornale digitale Il Post,[4] riporta la notizia in altro modo, commentando con molti dettagli il meccanismo di voto con la domanda disgiunta, spiegando che «per approvare la proposta dell’indipendenza della Catalogna ci debba essere la maggioranza dei “sì” in entrambe le domande», così «i federalisti non indipendentisti […] potranno quindi votare “sì” alla prima domanda e “no” alla seconda. Con questo voto in pratica si chiede un livello di autonomia ancora maggiore di quello di cui beneficia oggi la Catalogna, ma senza chiedere l’indipendenza». L’articolo, pur riportando i fatti in maniera corretta, fa riferimento solo a due giornali di Madrid – il superconservatore e vicino al governo El Mundo, ed il progressista El Pais, legato al PSOE – diversi fra loro ma accomunati dalla concezione sull’indivisibilità della Spagna. L’autore comunque presenta un quadro ampio e corretto: «I catalani lamentano un trattamento ingiusto da parte del governo centrale di Madrid riguardo alle tasse e ad altre questioni culturali, come lo status della lingua catalana. Il loro malcontento verso il governo spagnolo è aumentato negli ultimi anni, durante la crisi economica che ha colpito profondamente anche la Catalogna, ed è cresciuto ulteriormente nel 2013 a causa dello scandalo della contabilità segreta tenuta per anni dal Partito Popolare spagnolo, la forza politica al governo, in cui tra gli altri è rimasto coinvolto anche il suo leader, Mariano Rajoy».



L’agenzia di stampa tmnews.it[5] pubblica un estratto dell’intervista del giornale catalano Ara all’ex allenatore blaugrana Pep Guardiola, molto rispettato per le sue doti di leader sportivo, che non fa mistero delle sue idee sul referendum: «Non c'è atto più democratico, ha affermato sottolineando che anche "chi non è d'accordo con l'indipendenza del paese avrà un'opportunità unica e irripetibile di esprimersi". "Le leggi cambiano e sono i popoli che lo chiedono", ha spiegato l'allenatore catalano. »
Il giornalista Stefano Magni del quotidiano online L’Opinione delle Libertà[6] è informato e tempestivo: il giorno successivo all’annuncio del referendum dipinge un affresco della situazione molto fedele definendo con precisione le posizioni: «il Partito Popolare, tradizionalmente, è il più centralista. Se il Partito Socialista, almeno, si dimostra più permeabile sull’autonomia, anche se non sull’indipendenza, i popolari, avendo assorbito anche un pezzo di politica franchista, vogliono la monarchia spagnola una e indivisibile». Magri crea un quadro degli scenari possibili e delle divisioni interne ai partiti, anche rispetto alle reazioni del governo spagnolo: «Volendo, potrebbero votare e proclamare unilateralmente la nascita di una Catalogna indipendente a maggioranza qualificata, se solo superassero le loro divisioni ideologiche fra moderati (Artur Mas), radicali (Sinistra Catalana) e sinistra comunista. In un referendum l’indipendentismo vincerebbe facilmente. Se Madrid dovesse opporsi frontalmente al referendum, le prossime elezioni catalane, previste per il 2016, diverrebbero un plebiscito indipendentista» ma azzarda un pronostico drammatico, forse troppo: «E da lì alla guerra civile il passo è molto breve». In chiusura, il giornalista propone una riflessione, forse pessimista ma sostanziale,  «Se mai dovesse vincere la secessione di Barcellona, con un referendum o con una proclamazione parlamentare, tutti gli indipendentisti europei (compresi i nostri veneti) avrebbero un precedente da sventolare contro i loro governi centrali. Se, il 9 novembre 1989, la caduta del muro di Berlino segnò l’inizio dello sgretolamento del blocco europeo orientale, il 9 novembre 2014 l’indipendenza catalana potrebbe significare l’inizio del crollo di quello occidentale. Ecco perché l’Ue e la Nato si opporranno il più possibile».

Il rapporto con l’Europa è un tema piuttosto controverso, ma che merita una spiegazione esaustiva, seppur breve: è evidente che il governo dello stato continuerà ad opporsi all’indipendenza, e per questo non concederà nemmeno la discussione di un progetto di legge che permetta alla Catalogna di legittimare il referendum. La Costituzione spagnola – questo è il principale ostacolo – stabilisce che su argomenti di questo tipo si esprima il popolo spagnolo, e in tale circostanza il risultato sarebbe assolutamente prevedibile.
La questione, dal punto di vista internazionale, è però differente: esistono interpretazioni secondo le quali un territorio che secede da uno Stato membro si collocherebbe automaticamente fuori dall’Unione Europea con la necessità di una nuova trattativa per il suo ingresso. In base a questa ipotesi, la Spagna – come stato membro dell’UE – potrebbe porre il veto all’ammissione del “nuovo stato catalano”.
Ci sono anche altre possibili motivazioni che indurrebbero l’Europa ad ostacolare il processo d’ammissione della Catalogna. La rottura dell’unità degli stati membri è, in modo del tutto evidente, un’incognita per il futuro. Non è chiaro se gli abitanti di un territorio che secede perdano o meno lo status di cittadini europei, e questo avrebbe ripercussioni sull’equilibro di alcune regioni. Esistono soprattutto timori di instabilità interna in stati che potrebbero vedere rianimati i sentimenti di autonomia dei loro territori.

Gioca a favore della Catalogna quello che forse è il più importante dei fattori: un ipotetico stato catalano indipendente all’interno dell’Unione Europea farebbe comodo alle casse dell’Europa, e di conseguenza della stessa Spagna, e probabilmente soddisferebbe tutti i requisiti di “europeità” necessari all’ammissione. Sarebbe più realista, quindi, che il governo spagnolo si impegnasse per trovare un accordo, fatto che porterebbe ad una soluzione anche su scala europea.

Delle relazioni con l’UE parla anche l’articolo de L’indro[7] con un titolo poco contestualizzato, «Catalogna verso l’indipendenza ma povera», e un contenuto abbastanza confuso: una Catalogna indipendente necessiterebbe di una nuova moneta e dovrebbe rinegoziare i precedenti trattati con l’Unione. Questo processo, continua il pezzo, «sarebbe presumibilmente ostacolato dalla Spagna e dunque ancora più ostico per il neonato stato catalano. Ma l’entrata nell’UE è un fattore imprescindibile per la Catalogna che, altrimenti, dovrebbe pagare dazi sulle proprie merci per le esportazioni e le proprie imprese verrebbero, nuovamente, svantaggiate».
Di «strada tutta in salita» parla anche Carlos Garcia nel quotidiano economico Oggi.[8] Le difficoltà della Catalogna si spiegano con il fatto che «Madrid possiede quasi tutti gli strumenti legali per opporsi, primo fra tutti il fatto che un governo regionale non ha la competenza di indire un referendum» e questa tesi ha un fondamento: nel diritto costituzionale interno è difficile immaginare l’esistenza di un percorso giuridicamente giustificato a rompere l’unità di un ordinamento statale, ed è questo il motivo per cui il governo di Madrid insiste nel parlare dell’impossibile legittimazione di una consulta capace di distruggere l’equilibrio dello stato. Il presidente Mariano Rajoy – continua l’articolo – potrebbe presentare «un ricorso al tribunale costituzionale contro l'eventuale convocazione di una consultazione popolare che comporti la modifica dell'assetto istituzionale di un paese». I partiti indipendentisti avrebbero la possibilità, in questo caso, di utilizzare l’alternativa delle elezioni regionali anticipate per «far dire implicitamente agli elettori che, votando per un partito nazionalista, votano anche per l'autodeterminazione. Una mossa che non avrebbe alcun valore legale ma, di certo, un peso politico», conclude Garcia.

Il giornalista Ettore Siniscalchi annuncia una diversa prospettiva nell’articolo di europaquotidiano.it[9] nel quale pone l’attenzione sulle numerose «spinte autonomiste che percorrono la penisola iberica» che potrebbero tornare a farsi sentire in occasione del referendum catalano. Il resto del pezzo è una panoramica delle posizioni politiche dei partiti e delle coalizioni che mette in evidenza i diversi interessi riguardo la consultazione, e quali sono i motivi politici che spingono in specifiche direzioni. Il progetto di riforma di alcuni e le volontà di autonomia di altri si scontrano inevitabilmente e – nella maggior parte dei casi – non trovano un compromesso.

Euronews.com[10] pubblica le dichiarazioni di José Manuel Barroso, presidente della Comissione Europea, in risposta a una lettera che il presidente Mas aveva inviato ai principali leader internazionali con l’obiettivo di sensibilizzarli sulla questione catalana: «Non rientra nel mio ruolo [...] esprimere opinioni o incoraggiamenti in merito a una questione che riguarda l’organizzazione costituzionale di uno Stato membro». Nella sua lettera il presidente catalano confidava nel supporto dei paesi europei per «incoraggiare questo passo pacifico, democratico e trasparente, al quale siamo profondamente dediti sia io che la vasta maggioranza dei catalani».
Secondo l’analista politico Antoni Gutiérrez-Rubí, intervistato da Francisco Fuentes di Euronews, la strategia di Mas  è di dimostrare ai capi di governo europei che il governo di Madrid «non permette, in alcun caso, che una regione come la Catalogna possa decidere sul suo futuro e sulle sue relazioni con la Spagna» e che, di conseguenza, lo stesso governo e i partiti «dovranno spiegare e dimostrare perché in Spagna non è possibile fare quello che si è fatto nel Regno Unito».


[6]. Magni, Stefano. Indipendenza sofferta per la Catalogna. L’Opinione delle Libertà. 13/12/2013.