mercoledì 20 aprile 2011

Risposte a un giornale serio, La Stampa di Torino

Il 15 aprile scorso, su La Stampa.it, è apparso un articolo dall'apparenza sportiva. All'estero si parla di Catalogna solo quando gioca il Barça o c'è qualche premio di motociclismo, quando Laporta fa qualche numeretto e poco più. Quando si tocca l'argomento Catalogna-Spagna cominciano i luoghi comuni e le inesattezze. 
In fin dei conti l'importante è la notizia, gli approfondimenti interessano solo ad una minoranza dei lettori, ancora meno se siamo sul web. Basta un "clic" e in un decimo di secondo abbiamo pagato la nostra parte per leggere il giornale. 
Peccato che in questo caso non ci sia nessuna notizia e non si tratti di un blog qualsiasi ma di una testata seria come La Stampa di Torino.
Non riportiamo l'articolo in questione, che potete leggere su http://www3.lastampa.it/sport/sezioni/calcio/lstp/397967/ e preferiamo rispondere ad otto affermazioni errate del signor Orighi, che ripetono una serie di luoghi comuni e spesso, non sempre, li argomentano con dati come minimo inesatti, quando non tendenziosi.
Ci sarebbe molto altro da dire sul danno che queste cose fanno alla Catalogna, alla sua immagine e alla sua dignità ma non vogliamo essere noiosi e ripetitivi.
Ecco le affermazioni di Orighi e le nostre argomentazioni:


“I catalani stanno perdendo la quinta partita, quella della leadership nel Paese...”
Per l’effetto di essere la capitale dello stato, Madrid gode di maggior considerazione interna e internazionale. Multinazionali con sede a Madrid 50%, con sede a Barcellona 27%

“Barcellona è stata fondata dai cartaginesi 2.241 anni fa...”
I primi insediamenti di cui c’è traccia archeologica e non leggendaria, sono iberi. Erano separati fra di loro e si chiamavano Barkeno e Laie. Se vogliamo parlare di fondazione nel vero senso della parola, dobbiamo arrivare alla Barcino romana del I secolo a.C.

“La Catalogna era il volano economico. Ma da tempo Madrid la insegue e sta per farle le scarpe. Il risultato dell'ultimo marzo registra un sostanziale pareggio”
Vero, con una differenza per quanto riguarda gli investimenti dello stato nelle due aree, tenendo     conto che la città di Madrid ha una comunità autonoma solo per lei. Alcuni dati: aeroporti Madrid, costo finale € 6.200 milioni; Barcelona € 1.258 milioni. Treni obsoleti costruiti prima degli anni Ottanta in circolazione: Comunità di Madrid 9,52%, Catalogna 37,72%. Superstrade (gratuite) costruite 1985-2005: Madrid 600 km, Barcellona 20 km. In autostrade a pagamento invece è il contrario, per ogni 10000 catalani ci sono 0,92 km e per lo stesso numero di cittadini del resto dello stato 0,59 km. quindi quasi la metà.

“Madrid, ……dal ritorno alla democrazia nel ‘78, ha ceduto potere alla Catalogna: il 50% del gettito complessivo dell'Irpef...”
Queste ed altre tasse sono quanto stabilito dalla legge non per cedere potere ma per aver trasmesso le “competenze” sulla sanità, cultura, istruzione etc.

"Barcellona gestisce ……la  magistratura”                                                                                                    Non è esatto, gestisce la giustizia nell’ambito del suo territorio, con giudici che comunque fanno una carriera statale. Uno dei problemi infatti è che molti di loro non sanno la lingua dei cittadini che giudicano, peraltro costituzionalmente riconosciuta.

"Il 25% dei catalani se ne vuole andare dalla Spagna...”
Su questo punto è molto difficile avere dati certi perché in Spagna è vietato fare referendum su questo argomento, a meno che non siano organizzati dallo stato che, evidentemente, non vuole mettere in discussione l’unità. 
Certo è il successo di partecipazione al recente referendum senza valore legale organizzato da associazioni di cittadini senza fondi pubblici, che ha portato a votare gente di 573 comuni catalani. 
Più imparziale è l’inchiesta realizzata dal Barometro della Comunicazione e la Cultura su 5.084 persone maggiori di 18 anni con la domanda “se domani si celebrasse un referendum sull’indipendenza della Catalogna, lei cosa voterebbe?”. Risultato 34% si, 30% no, 23 non so, 3% in bianco. (dati agenzia ufficiale www.fundacc.org)

"L’ex presidente “Pujol, ….. parlava in catalano sempre, e la tv era costretta, per farlo capire, a tradurlo in sovraimpressione”                                                                                                                            
Il catalano è lingua co-ufficiale in Catalogna, riconosciuta dalla costituzione spagnola e non è obbligatorio, fuori del territorio, conoscerla. Normale quindi sottotitolarla.

“Barcellona, progressista da sempre, non mantiene il ritmo della capitale, ... specchio dei tempi, i turisti vanno ormai più a Madrid che a Barcellona..."
”Dato incorretto: il turismo interno preferisce Madrid e quello internazionale Barcellona.


domenica 17 aprile 2011

Ottantamila in piazza contro Camps e a favore di TV3


Secondo ACPV, Acció Cultural del País Valencià erano ottantamila. Si sono concentrati ieri a València con il motto 'Sí a TV3, sí a la llengua, sí a la transparència' .
'erano Carles Santos a dirigere una banda musicale e diverse personalità catalane e valenciane. Dopo quattro anni che si era ritirato dalle scene, il popolarissimo cantautore Lluís Llach si è offerto di cantare per la manifestazione e le autorità della città non hanno concesso l'uso di spazi pubblici costringendo gli organizzatori a farlo cantare sopra il rimorchio di un camion.
Il governo valenciano, come noto, è in mano al pluriindagato Francisco Camps, e combatte con decisione le emissioni della catena pubblica catalana Tv3 solo perchè diffondono nella lingua di una buona parte dei valenciani, programmi di tutti i tipi. Dato che la politica linguistica del Partito Popolare in questa comunità autonoma è ben diversa da quella della Catalogna, hanno combattuto e vinto tutti i tentativi di tener aperti dei ripetitori con il risultato che Tv3 e tutti i suoi canali, come Canal33 e la tele per bambini CANAL SUPER3, nel País Valencià, non si possono vedere. Nel 2011, in uno stato come la Spagna. Difficile da credere, ma vero. http://www.vilaweb.cat/noticia/3874892/20110417/llach-canta-pais-valencia-llibertat-dexpressio.html

mercoledì 13 aprile 2011

La Catalogna ha deciso: un referendum si può fare

257.645 Votanti fanno di Barcellona la capitale del “Dret de decidir”.
La capitale catalana rompe il tabú sul fatto che le grandi città siano terreno difficile per un referendum indipendentista.
Più di settemila volontari hanno assicurato un funzionamento pacifico, democratico e perfetto delle operazioni di voto.
Quando l’11 settembre 2009 questa avventura è cominciata quasi per caso, nata spontaneamente da un gruppo di cittadini di Arenys de Munt – che di anime ne ha ottomila e ne ha portate a votare 2671- scrissi il mio primo articolo sulla politica di questo paese.
Avevo capito che era successo qualcosa di diverso ma non sapevo quasi nulla – a parte la bella immagine che tutti ne abbiamo, a condizione che si tratti di un paese lontano – del sentimento di autodeterminazione di un popolo.
In quest’anno e mezzo ho cercato di parlare con tutta la gente possibile, di leggere quello che ho potuto, di scrivere quello che ho saputo. Niente, però, mi ha dato la sensazione di questi giorni vedendo da vicino i volontari che raccolgono voti per un referendum che si sono dovuti inventare dal nulla. E che hanno portato a termine, con precisione e coerenza.
Senza retorica e senza voler fare l’analista politico, da italiano che vive in Catalogna, posso dire che qualcosa è veramente cambiato. Dopo che il 21,37% dei barcellonesi, ma anche di molti altri comuni che ieri 10 aprile, hanno deciso che un referendum si può fare su qualsiasi argomento, per votare SI o NO, le cose non saranno più come prima.

domenica 10 aprile 2011

Il diritto di decidere il proprio futuro

Sapevate che in Spagna la costituzione lascia poco spazio ai referendum popolari? Specialmente a quelli come questo, del dieci aprile -10A- che toccano temi sensibili per l'unità dello stato.
Per questo motivo oggi a Barcellona si celebra un referendum veramente popolare, cioè autogestito, senza strutture pubbliche, senza soldi senza nemmeno l'aiuto del comune perchè il sindaco socialista Jordi Hereu ha detto che "rispetta" ma non approva.
Dall'autunno del 2009 in oltre cinquecento dei 980 comuni catalani gruppi di cittadini, con o senza l'aiuto di partiti si sono autoorganizzati e autofinanziati per chiedere alla popolazione se sia d'accordo su una Catalogna indipendente e democratica nel seno dell'Unione Europea. Un milione e mezzo di persone, numero simile a quelle che si sono riunite il 10 luglio 2010 in piazza a Barcellona, una parte per protestare contro la politica catalanofobica dello stato spagnolo e un'altra per chiedere anche l'indipendenza. Al referendum di oggi e alla manifestazione dello scorso anno erano presenti anche i presidenti della Generalitat, massima istituzione catalana. Vi sembra poco?

domenica 3 aprile 2011

Un cambiamento radicale


Sull'argomento dell'indipendenza, in Catalogna stiamo assistendo ad un cambiamento della situazione rapido quanto interessante. Da teoria di pochi, l'indipendentismo sta diventando desiderio di molti.

L'impressione è che in questi ultimi anni quest’idea si sia fatta strada tra una fascia di popolazione estremamente ampia,  dopo ripetute prove da parte delle istituzioni statali spagnole di non voler arrivare ad una evoluzione plurinazionale o federalista dell'organizzazione statale.

La misura si è colmata dopo la sentenza del Tribunale Costituzionale spagnolo che ha depotenziato  molti articoli dello statuto d'autonomia catalano l’estate scorsa con la conseguenza di portare in piazza a Barcellona quasi un milione e mezzo di persone a protestare. Questo, insieme con il comportamento del “quasi ex” presidente spagnolo  Zapatero che ha eluso per anni la promessa “appoggerò” fatta per avere il voto dei catalani, ha esacerbato il cuore ed anche il portafoglio degli abitanti di un’area che da sola apporta il 20% del PIB, con il risultato che anche la parte più moderata del paese oggi ammette che non c'è più niente da fare.
Jordi Pujol, l’ottantenne ma ancora molto autorevole uomo politico che fu per 23 anni ininterrotti presidente della Generalitat de Catalunya , ha ammesso pubblicamente che per tutta la sua lunga attività politica ha cercato un modo di collaborare con la Spagna ma non c'è riuscito. Questa svolta è importante perché, come spiega molto bene Patricia Gabancho su un giornale digitale “…l’ex presidente rappresenta una grossa fetta del paese, i fedeli del cosiddetto “pujolisme”, che era un nazionalismo contenuto, emozionale, ed estremamente propenso a patteggiare, condizione che nascondeva sotto il paravento della responsabilità politica…” http://www.naciodigital.cat/opinionacional/noticiaON/1646/pujol/pas
Durante una conferenza tenuta a fine marzo presso l'Università Pompeu Fabra di Barcellona, Pujol  ha ripercorso i suoi sessant'anni di attività politica dichiarando fallito il tentativo di mediazione con lo stato ammettendo che per lui "non restano più argomenti validi per opporsi all'indipendenza!"
Poco dopo, in un'intervista a Catalunya Radio, l'ex-Presidente ha comunicato di aver votato “Si” al referendum autogestito sul dret de decidir, che da un anno e mezzo si sta svolgendo in quasi tutti i comuni di Catalogna ed è arrivato all’ultima prova, quella della capitale Barcellona.
Il quesito referendario è: “vuoi che la Catalogna diventi uno stato indipendente, nel seno dell’Unione Europea?”. Se l’uomo che, per 23 anni di fila, ha ottenuto i voti dei catalani per governare il paese decide che adesso si risponde “Si”, la cosa avrà conseguenze importanti. Aspettiamo i risultati della consultazione per confermare o meno questa tesi.