martedì 29 giugno 2010

Addio, Spagna!




È stata resa pubblica, in parte, la sentenza del Tribunale Costituzionale spagnolo sul ricorso presentato dal Partito Popolare e dal Difensore del Popolo relativo alla legittimità di molti articoli della legge organica che permette l'autogoverno della Catalogna.
Rimandando ad altri articoli maggiori dettagli, riportiamo la valutazione che ne ha fatto immediatamente il partito Esquerra Republicana de Catalunya.

Il 30 settembre 2005 il Parlamento della Catalogna aveva approvato, per stragrande maggioranza, il progetto del nuovo Statuto di Autonomia. Quel testo, espressione unitaria delle aspirazioni di autogoverno del popolo catalano, subì tante modificazioni al Parlamento spagnolo che gli indipendentisti catalani non ne votarono l’approvazione definitiva. Nonostante le modifiche, la maggioranza di cittadini della Catalogna ne confermò il testo attraverso un referendum il 18 giugno 2006 perché capì che era meglio quel piccolo passo avanti piuttosto che rimanere senza un documento tanto importante.

La sentenza che il Tribunale Costituzionale spagnolo ha appena reso pubblica significa la seconda modificazione grave dello Statuto e va contro un atto di legittimità del popolo catalano manifestato nelle urne per referendum. Dall’altro canto, si tratta di 10 giudici di un tribunale ormai senza alcun prestigio e convertito in campo di battaglia degli interessi inconfessabili dei grandi partiti spagnoli.

Oltre ad alterare lo Statuto, il Tribunale Costituzionale spagnolo ha modificato le condizioni di un patto politico, senza tener conto della volontà popolare e dei partiti politici rappresentativi del popolo catalano per cui adesso risulta chiaro che quello che vuole una parte importante dei cittadini catalani non c’entra nella Costituzione spagnola.

Quelli che vogliono che la Catalogna sia uno Stato indipendente dentro l’Unione Europea, adesso sono più convinti che mai che questa sia l’unica via realista per ottenere l’affermazione nazionale. E oggi, dopo l’attacco dei giudici spagnoli alla loro autonomia, ci saranno più catalani convinti della necessità e dell’opportunità che la Catalogna abbia uno Stato proprio.


http://www.esquerra.cat/actualitat/declaracio-desquerra-sobre-la-sentencia-de-lestatut

martedì 22 giugno 2010

Le rivoluzioni nascono così


Il sentimento di autodeterminazione dei catalani è piuttosto alto e sta crescendo vistosamente. Nel settembre scorso in un paese poco lontano da Barcellona, Arenys de Munt, si è celebrata quella che sarebbe diventata la prima di una lunga serie di consultazioni pubbliche con un successo inaspettato. Si è trattato di un referendum vero e proprio, senza valore legale perchè organizzato da associazioni private. La differenza con quelli ufficiali è nel fatto che questi, in Spagna, sono regolati molto severamente e praticamente impossibili da realizzare.
Per quanto riguarda l'autodeterminazione, la Costituzione del 1978 all'articolo 2 precisa di essere basata sulla "indissolubile unità della Nazione spagnola, patria comune e indivisibile di tutti gli spagnoli". Il sentimento nazionalista degli spagnoli in generale è assai marcato, soprattutto nei confronti di baschi e catalani che su questo hanno una visione assai diversa. Per i primi la Spagna è un solo grande paese, per gli altri l'indipendenza l'obiettivo da raggiungere.
Interessante notare il duplice sentimento che anima soprattutto i madrileni: l’anticatalanismo da un lato e il desiderio di supremazia su una regione che considerano parte integrante della loro Spagna: mentre da una parte si criticano i catalani con le loro abitudini e i loro difetti, dall'altra tutto lo stato approfitta della produttività e del gettito fiscale che questo popolo apporta, senza restituirgli in servizi quello che paga in tasse.

Immaginiamo quindi le reazioni che un referendum come questo può suscitare, in particolare quando il quesito é “Lei è d’accordo che la Catalogna diventi uno stato di diritto, indipendente, democratico e sociale integrato nell’Unione Europea?
La società catalana si è mobilitata con risultati sorprendenti, oltre un milione e mezzo di persone – su una popolazione totale di sette - ha votato finora in una consultazione popolare straordinaria, sostenuta a denti stretti dai partiti indipendentisti, e avversata da socialisti e popolari.
L’organizzazione è dal basso, in ogni paese o cittadina si costituisce un comitato -chiamato piattaforma- che organizza con fondi propri tutte le operazioni, dal reperimento dei locali a tutto il necessario per un referendum in piena regola.

I numeri parlano chiaro: fino ad oggi si è votato in 510 municipi sparsi in tutta la Catalogna, il censo elettorale era di tre milioni scarsi di cittadini dei quali ha votato il 20%.
Di questi 600.000 voti il “si” ha ottenuto il 93%, il “no” 5%.
Con numeri come questi, alle prossime elezioni per il Parlamento di Catalogna, i partiti politici tremano.
L’attivismo dei comitati non cessa e dà l’assalto alle grandi città, come ad esempio Barcellona, che per la dimensione e per il potere socialista in campo avverso, è la più difficile da conquistare.

Come si sa le rivoluzioni nascono così e questa, anche se pacifica, ha tutto l’aspetto di esserlo.

venerdì 18 giugno 2010

Milano-Roma vs Barcellona-Madrid


Antonio Padellaro è il direttore de Il Fatto Quotidiano, ieri l’abbiamo ascoltato nella sala strapiena del Collegio degli Avvocati di Barcellona, insieme con Marco Travaglio, giornalista noto a tutti in Italia e fuori. Gli organizzatori hanno dovuto rifiutare l’ingresso a moltissimi che pur avendo prenotato via internet, non sono arrivati con sufficiente anticipo. Una platea attenta ha sentito il racconto di un’Italia censurata, assuefatta alla commedia di un potere che ormai, anche grazie alla crisi economica internazionale, potrebbe essere ad una svolta importante. Anche se, secondo Travaglio, non si può sapere cosa ci sia dietro l’angolo, come non lo si sapeva quando Berlusconi scese in campo a colmare il vuoto dopo tangentopoli.
Potremo tutti vedere la conferenza perchè sarà presto pubblicata in video ma segnaliamo solo un dettaglio dell’intervento di Padellaro che, forse un po’ stanco dopo una giornata di conferenze e incontri pubblici, diceva “ girando per l’Europa: siamo stati a Parigi, a Londra ed oggi siamo qui a Madrid…- in sala un momento di perplessità-… scusate, a Barcellona… ho fatto una gaffe monumentale…-applausi e sorrisi-…è come se a un romano uno avesse detto che siamo a Milano”. Ed ecco apparire un preconcetto italiano, il paragone Milano-Roma uguale Barcellona-Madrid. Anche una persona sicuramente informata e di cultura come questo valente giornalista, vede le cose dal punto di vista statale, Barcellona e Madrid sono nello stesso stato. Come in Italia ci sono cose che tutti sanno ma non si dicono, anche qui tutti sanno che la Catalogna non è Spagna, ma “fuori” non lo si dice. Quindi la gaffe di Padellaro non è di aver confuso Barcellona con Madrid, ma di aver paragonato due paesi completamente diversi, attraverso il paradigma della rivalità fra due grandi città di uno stesso stato, segno che della realtà della città nella quale è venuto a parlare, non è informato come dovrebbe.

domenica 13 giugno 2010

Sport e/è politica



Oggi 13 giugno 2010 per la Catalogna è un giorno importante, giorno di elezioni per scegliere il nuovo presidente del “Futbol Club Barcelona”, conosciuto in tutto il mondo come Barça. Se si chiede a qualcuno, in Spagna o all’estero, il nome del Presidente della Generalitat (governo della regione autonoma catalana), in pochi sapranno rispondere. Tutti invece sanno che Joan Laporta è stato il presidente del Barça fino ad oggi e dal primo luglio impareranno quello di Sandro Rosell, eletto con una maggioranza schiacciante.

Seicento giornalisti accreditati, tutti i mezzi di comunicazione locali e internazionali hanno coperto l’evento: negli ultimi giorni ci sono state decine di interviste individuali e 4 dibattiti televisivi con gli aspiranti alla presidenza di una società con circa 170.000 membri dei quali 118.665 erano chiamati al voto. Quasi la metà si è recata personalmente al Camp Nou per depositare nell'urna la propria preferenza.

Il Barça non è una società per azioni, bensí un club nel quale ognuno dei soci vale un voto, e per essere eletti al consiglio direttivo si deve presentare una candidatura sostenuta da un minimo di firme.
Cosa voglia dire essere presidente del Barça di oggi, quando la squadra pigliatutto e del calcio spettacolo introdotto da Johan Cruiff, gira per il mondo raccogliendo consensi fino al punto di decidere di essere lei stessa sponsor dell’UNICEF, è abbastanza semplice da capire.
Ma quando tutti i giocatori, catalani o meno, salutano il pubblico al grido di “visca el Barça, visca Catalunya” sollevando un’ovazione generale, la comprensione richiede maggiori informazioni.

Politica e impegno sociale sono sempre stati presenti nell’attività del celebre club. Fondato nel 1899 da Joan Gamper, uno svizzero che ne fu cinque volte presidente, eccettuate le imposizioni di due dittature, ha quasi sempre conservato il sistema elettivo attraverso il voto dei soci in assemblea.
Nel 1925 la febbre anticatalanista del dittatore Miguel Primo de Rivera arrivó a chiuderne lo stadio per sei mesi, allora nel quartiere de Les Corts, perché durante una partita di omaggio al coro dell’Orfeo Català -altro baluardo del catalanismo- l’inno spagnolo era stato fischiato. Lo scoppio della guerra civile nel 1936 vide il presidente Josep Sunyol fucilato dai soldati franchisti.

Més que un club, più di un club, si dice negli statuti del Barça, e fra le finalità ci sono “la promozione e partecipazione ad attività sociali, culturali, artistiche, scientifiche o ricreative necessarie per garantire la sua partecipazione pubblica, frutto della tradizione di fedeltà e servizio ai soci, ai cittadini, alla Catalogna”.
Tutti i gli aspiranti presidenti hanno dichiarato che il club continuerà comunque ad essere catalanista, al punto che nell’ultima riunione del direttivo uscente si è deciso di mettere a disposizione il Camp Nou per le consultazioni dell'aprile del 2011, organizzate da gruppi di cittadini sull’indipendenza della Catalogna dallo stato spagnolo.