giovedì 22 dicembre 2011

I "papers" restano a Salamanca per ordini superiori: di chi?

Il ritorno delle ultime casse di documenti in Catalogna era cosa praticamente fatta, mancava solo l'ultima riunione ma la signora Ángeles González Sinde, ministro ancora per pochi giorni del governo spagnolo, ha dato ordine - senza alcuna spiegazione -  di interrompere il procedimento.

Fonti  informative pubbliche hanno riportato la dichiarazione del responsabile della cultura del governo catalano, Ferran Mascarell che ha dichiarato che la ministro aveva agito per “ordini superiori”.

Ma, aggiungiamo noi, chi puó essere il superiore di un ministro, se non il presidente del Consiglio dei Ministri? 
E perché questo presidente non ha voluto completare un’operazione che – oltre ad essere regolata da una legge apposita – era ormai quasi terminata?

Cose come queste fanno parte della “trasmissione di poteri” fra un governo e l’altro e ormai Zapatero non aveva nessun interesse per la questione. Al contrario di qualcuno che, nel nuovo governo, ha interessi “superiori” per trattenere questi materiali ed usarli come merce di scambio nelle prossime trattative.

lunedì 19 dicembre 2011

Gli italiani e la Guerra Civile Spagnola

Memòries creuades, experiències comunes è il titolo del convegno organizzato a Barcellona a fine novembre 2011.
Questa intervista a Paola Lo Cascio risponde alla domanda di Marco Giralucci su quale sia stata l'entità della partecipazione italiana. 



lunedì 12 dicembre 2011

Negli archivi di Salamanca, sentenze di morte e lettere d’amore

L’ultima notizia è che il governo PSOE di José Luís Rodriguez Zapatero, prima di lasciare completamente il potere in mano ai popolari di Rajoy, restituirebbe alla Catalogna una certa quantità di documenti, una parte dei Papers de Salamanca. L’informazione arriva da La Razon, un giornale schierato senza equivoci con la destra spagnola, per cui va presa con cautela
Nessuno dei due grandi partiti spagnoli, del resto, si è distinto nella ricerca della soluzione a un problema che si trascina da trent’anni fra le due comunità di Catalogna e Castiglia o, per meglio dire, fra la Catalogna e tutto il resto di Spagna.
Il vero problema è riconoscerla o meno come nazione, distinta dalla Spagna. Ci sono due possibilità:
La prima: la Catalogna è una nazione, in questo caso è normale che i documenti di guerra custoditi in un altro territorio come la Castiglia vengano restituiti ai legittimi titolari.
La seconda: la Catalogna fa parte della nazione spagnola, dunque non è così importante se l’archivio si trova in una regione piuttosto che in un’altra.

Cosa sono e perché hanno tanta importanza

A Salamanca sono custoditi una serie di documenti ufficiali e personali che appartengono al governi Catalano, Baleare, Valenzano Galiziano e Basco, insieme a corrispondenza privata fra soldati repubblicani e le loro famiglie. Alcuni dei destinatari delle lettere sono ancora vivi e, paradossalmente, fra questi documenti convivono sentenze di morte e lettere d’amore





Questi fondi furono sequestrati dall’esercito franchista dopo il 1939 come bottino di guerra e inviati nella città castigliana dove Franco aveva creato el Archivo General de la Guerra Civil Española .

Solo in Catalogna, fra il 1938 e il 1940, furono requisite 160 tonnellate di documenti e libri. C’era di tutto: dai documenti del governo della Generalitat, organismi dello Stato, fino a quelli dei sindacati, partiti politici, giornali, case editrici, associazioni di ogni tipo ed anche biblioteche private.
Secondo gli esperti, per trasportare tutto il materiale, furono necessari 12 vagoni ferroviari e diversi camion.
Per vent’anni questo materiale fu la base di dati che la dittatura usò per le informazioni su persone che avevano servito la Repubblica o si erano schierate con la sinistra.
Alcuni studiosi sostengono che quelli che in catalano si chiamano “Els papers de Salamanca” comprendano anche certificati di morte di soldati uccisi e, soprattutto, elementi che possano aiutare a ritrovare le fosse comuni dove sono sepolti i corpi dei civili assassinati.
Con il ritorno della democrazia e l’approvazione dello Statuto di Autonomia di Catalogna nel 1978, si recuperano le istituzioni ed anche la competenza sul patrimonio archivistico.
Nel 1995 il governo spagnolo –PSOE – approva il ritorno dei documenti.
Nel 2000, dato che non si muove nulla, alcuni partiti presentano richieste formali e proposte di legge perché si dia luogo alla restituzione.
Nel 2003 la situazione non è cambiata.
Nel 2006 il parlamento spagnolo approva una legge per la restituzione, la 21/2005, del 17 di novembre.

A tutt’oggi quasi tutti i materiali, salvo un gruppo di plichi e casse che sono stati restituiti, rimangono ancora negli archivi di Salamanca dove, con la scusa di trattenere un patrimonio storico nella città, si è arrivati anche a custodire l’entrata dell’edificio con guardie armate.
La titubanza dei socialisti è dovuta alla presenza in Castiglia di proprio elettorato e amministratori, mentre la resistenza dei popolari – esclusi quelli catalani, questo va detto – è giustificata col fatto che il patrimonio archivistico è di pertinenza cittadina e non può essere sottratto. Da notare che contro la restituzione si sono organizzate anche manifestazioni di piazza, con importante partecipazione della popolazione.
Sull’argomento è attiva un’organizzazione che ha come unico scopo il ritorno dei documenti in Catalogna, la Comissió de la Dignitat.

Non sappiamo, oggi, se i documenti saranno restituiti ma per il momento sembra difficile.
La cocciutaggine dei catalani sarà forse un luogo comune ma l’impressione è che non smetteranno di reclamare i “papers” fino a che non li avranno riavuti.
Fosse anche fra cent’anni.

http://www.larazon.es/noticia/3850-el-gobierno-sacara-300-cajas-del-archivo-de-salamanca-antes-de-irse.

http://www.comissiodeladignitat.cat/ 

martedì 14 giugno 2011

La Catalogna e il rating della Spagna

Prendiamo spunto dall’articolo apparso su Il Sole 24 ore del 7 giugno 2011: “La Catalogna pesa sul rating della Spagna” che, a nostro avviso, non è completo perché alle dichiarazioni di Moody’s ne sono seguite altre, dell’UE, che ne smentiscono titolo e contenuto, e delle quali su Il Sole non c’è traccia.
http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2011-06-07/moodys-catalogna-pesa-rating-063856.shtml?uuid=AaijVkdD
L’articolo riporta l’opinione dell’agenzia Moody’s secondo cui “Il deficit previsto dalla Catalogna per il 2011 dimostra che il Governo spagnolo non dispone di strumenti efficaci per costringere le regioni autonome a rispettare gli obiettivi di riduzione del disavanzo” definendolo come “fuori controllo”.
Dal modo in cui le informazioni vengono presentate, i problemi di bilancio dello stato spagnolo sono responsabilità delle comunità autonome e, in particolare, della Catalogna.
Il giorno prima dell’uscita di questo articolo, lunedì 6 giugno, il presidente del governo della Catalogna Artur Mas aveva fatto visita a Bruxelles al presidente del Consiglio Europeo Herman Van Rompuy per spiegare la situazione di bilancio della Catalogna e dello sforzo enorme che il suo governo sta facendo per ridurre le spese.
Gran parte della questione risiede in un trasferimento di fondi che lo stato fa alle comunità autonome per bilanciare le diverse situazioni contributive. La Catalogna calcola di dover ricevere 1450 milioni di euro che però non può mettere in bilancio perché non è sicuro che vengano pagati quest’anno. Se così fosse, il deficit del 2,66% si ridurrebbe all’ 1,26% quindi al di sotto dell’obiettivo fissato.
Il successivo 9 giugno, infatti, la Commissione Europea attraverso il suo portavoce Amadeu Altafaj, ha specificato che la Catalogna ha “fatto i compiti per bene” e che sono le altre comunità spagnole che devono fare attenzione al debito: “Tutte le comunità autonome hanno lo stesso obbligo di osservare gli obiettivi concordati, però l’impegno che ci stanno mettendo non è lo stesso”. Il portavoce della Commissione Europea ha voluto tranquillizzare l’esecutivo catalano aggiungendo che “ridurre il bilancio del 10% in un solo anno è un’operazione di proporzioni inedite che evidentemente è apprezzato da parte di Bruxelles”.
Le agenzie di rating hanno subito rilevato la dichiarazione e lo stesso giorno l’agenzia Fitch ha corretto Moody’s togliendo importanza al debito pubblico della Catalogna ed ha assicurato che non rappresenta nessuna minaccia per lo stato spagnolo. Il direttore, della Fitch Douglas Renwik ha dichiarato che il debito delle comunità autonome è molto basso e il debito spagnolo è lontano da quello di Grecia, Irlanda e Portogallo.
http://www.lavanguardia.com/politica/20110609/54168536680/la-ce-reconoce-el-mayor-esfuerzo-de-catalunya-para-reducir-el-deficit.html
http://www.lavanguardia.com/economia/20110609/54168537296/fitch-resta-importancia-a-la-deuda-autonomica-en-la-solvencia-de-espana.html
http://www.catalannewsagency.com/news/politics/european-commission-recognises-catalonia%E2%80%99s-%E2%80%9Cbudget-cuts-unprecedented-proportions%E2%80%9D-red

venerdì 3 giugno 2011

Biennale di Venezia, la partecipazione catalana ai Magazzini del Sale



La Catalogna e le isole Baleari si presentano insieme alla Biennale d’Arte di Venezia 2011.

La Catalogna, nazione senza stato, non può entrare nei famosi giardini che accolgono i padiglioni di Spagna Francia e altri paesi: per questo motivo l’esposizione è inserita nell’ambito degli eventi collaterali.

L’artista Mabel Palacin, presenta una video-installazione con una scena filmata da punti di vista diversi e racconta molte storie a partire da una sola immagine.

Mabel sostiene che le immagini oggi non esistono solo una volta ma sono destinate a riprodursi in maniera circolare e in questo coincidono molte tradizioni: cinema, fotografia, testo.

Venezia, Magazzini del Sale alle zattere nella sala n.2, dal 4 giugno al 30 di ottobre.
http://www.labiennale.org/it/arte/esposizione/eventi-collaterali/ec.html?back=true

martedì 17 maggio 2011

Ricard Gomà



Il Candidato Sindaco Ricard Gomà non è nuovo nell'amministrazione della città di Barcellona. Con la coalizione ICV, Iniciativa per Catalunya Verd  -  EsquerraUnida i Alternativa (EUiA), ha partecipato per sette anni al governo insieme ai socialisti di Hereu. È un esperto in politiche urbane, docente in varie università. Per avere maggiore visibilità corre da solo, e presenta un programma in cui, secondo noi, prevede già di trovarsi all'opposizione. Ne riportiamo qualche frase dimostrativa: "Faremo del nostro programma, uno spazio di politicizzazione di disagio...in difesa dei diritti e del benessere della maggioranza... non ci troveranno mai nella Barcellona vetrina di grandi eventi (come le Olimpiadi invernali ...) o nella città che trema di fronte alle potenti lobbies e ai loro interessi urbani (hotel vela ...) e nemmeno nella città autoritaria e punitiva (Ordenança del civisme ...) o la città grigia, auto e cemento (con più gallerie ...). Faremo del nostro programma uno spazio inconformista contro la Barcellona che non ci piace".

lunedì 16 maggio 2011

Jordi Hereu

Jordi Hereu è il sindaco uscente. Nonostante il suo partito non lo volesse ricandidare è riuscito a vincere le primarie -fatte per la prima volta- e sta guadagnando terreno sulle inchieste che lo davano per perdente. Non sappiamo se vincerà, ma certo venderà molto cara la pelle.

domenica 15 maggio 2011

Elezioni municipali a Barcellona 2011_00

Abbiamo deciso, insieme con gli amici di www.spaghettibcn.com ed www.espatriati.it, di andare a intervistare i candidati capolista. Qui non si elegge direttamente il sindaco ma si votano liste che, una volta insediate in consiglio comunale, costruiscono la maggioranza che elegge il sindaco. Di fatto, però, tutta la campagna è incentrata sui candidati e il resto dei candiati lavora per raccogliere voti senza quasi apparire.
Gli alcaldables cioè candidati sindaco non li abbiamo incontrati tutti perchè non sempre ci hanno risposto e, anche in quel caso, non sempre siamo riusciti a registrare un'intervista video. Non siamo tenuti a rispettare le quote e ci siamo semplicemente avvicinati a persone che, altrimenti, non si sarebbero nemmeno rivolte ad un collettivo come il nostro. Un regolamento europeo stabilisce che quando ci si iscrive al registro di residenza che qui si chiama padrò municipal, si deve decidere dove votare e solo il 2-3% degli europei opta per farlo qui. I politici evidentemente sono al corrente di questi dati e non spendono energie verso gruppi per loro insignificanti.
Detto questo, visto che la partecipazione alla vita del paese in cui si vive, piaccia o no, passa anche per il voto, meglio saperne di più.

Barcellona vive, come tutta la Spagna e la Catalogna, un momento difficile. Il modello di sviluppo cominciato con le olimpiadi ha cominciato a perdere colpi già dal 2004 con il mezzo flop dell Forum, ma nel frattempo si è dotata di una rete di infrastrutture efficace anche se non perfetta, una miriade di servizi culturali e sociali - come le biblioteche i centri civici e la sanità pubblica - rendono la città e l'area metropolitana ancora una delle zone più attraenti per viverci. Per questo, all'estero, la marca Barcelona tira ancora e il turismo non cala. Certo, l'indice ufficiale di disoccupazione è come in Spagna intorno al 20% e la classe politica, la stessa che ha lanciato e gestito la città-divertimento, non sa che pesci pigliare.

In questo contesto l'attuale sindaco socialista Jordi Hereu, dopo che il suo partito Partit dels Socialistes de Catalunya ha cercato di metterlo da parte, l'ha spuntata. Si ricandida ma le inchieste lo danno perdente e dopo oltre 30 anni di governo socialista, il centro-destra di Convergència i Uniò sembra favorito per insediare il suo candidato, in non più giovane Xavier Trias. In città regna un certo scontento per le conseguenze del turismo della birra e della prostituzione, in parte proveniente dai paesi anglosassoni, e per la presenza di una quantità importante di immigrati che, dopo essere stati sfruttati nel ramo della costruzione, adesso cominciano ad essere malvisti. Ci sarà da considerare anche la variabile dell'autodeterminazione e - dato che l'area di Barcellona costituisce un quarto della popolazione di tutta la Catalogna - anche la componente indipendentista o comunque propensa a vari livelli di federalismo giocherà un ruolo importante nella scelta del futuro sindaco.

sabato 7 maggio 2011

Creu de Sant Jordi all'italiano Stefano Grondona

Il 27 aprile la Generalitat de Catalunya ha insignito il chitarrista e musicologo Stefano Grondona con la Creu de Sant Jordi, la più alta onorificenza civile concessa a persone o entità sociali che si sono distinte nella diffusione e promozione della cultura catalana. 
La motivazione del premio è: “la sua attività concertistica e anche quella di docenza lo hanno consacrato nel panorama internazionale. Vincolato al nostro paese dalla fine degli anni ’70, si è impegnato nella ricerca storica sulla chitarra e ha diffuso le opere dei compositori catalani dedicate a questo strumento.
La sua opera discografica ed i suoi saggi definiscono una innovativa immagine della chitarra catalana nell’epoca del modernismo e recupera la figura del musicista catalano Miquel Llobet”.
Nato nel 1958, Grondona è uno dei più preparati e attenti chitarristi internazionali. Si è perfezionato con Julian Bream e Andrés Segovia, che lo indicò come suo migliore allievo. Da oltre un ventennio ha la cattedra di chitarra al Conservatorio di Vicenza.
Sono naturalmente onoratissimo di ricevere la Creu de San Jordi che premia la mia opera musicale e il lavoro di ricerca e approfondimento della musica e cultura catalane. Al compositore-chitarrista catalano Miquel Llobet ho dedicato buona parte della mia recente discografia, con l’edizione integrale delle sue opere. Llobet fu inoltre maestro di Segovia che fu anche il mio, di maestro e la cosa più incredibile è che io adoro e prediligo le chitarre di Torres, le stesse che anche Llobet suonava… Purtroppo la guerra civile e la 2° Guerra Mondiale hanno eliminato la cultura e la scuola catalana, di cui Llobet stesso era parte. Una specie di rimozione collettiva grave, a discapito di una esaltazione “folclorica”, stereotipata, della chitarra e della musica spagnola in genere”.


mercoledì 20 aprile 2011

Risposte a un giornale serio, La Stampa di Torino

Il 15 aprile scorso, su La Stampa.it, è apparso un articolo dall'apparenza sportiva. All'estero si parla di Catalogna solo quando gioca il Barça o c'è qualche premio di motociclismo, quando Laporta fa qualche numeretto e poco più. Quando si tocca l'argomento Catalogna-Spagna cominciano i luoghi comuni e le inesattezze. 
In fin dei conti l'importante è la notizia, gli approfondimenti interessano solo ad una minoranza dei lettori, ancora meno se siamo sul web. Basta un "clic" e in un decimo di secondo abbiamo pagato la nostra parte per leggere il giornale. 
Peccato che in questo caso non ci sia nessuna notizia e non si tratti di un blog qualsiasi ma di una testata seria come La Stampa di Torino.
Non riportiamo l'articolo in questione, che potete leggere su http://www3.lastampa.it/sport/sezioni/calcio/lstp/397967/ e preferiamo rispondere ad otto affermazioni errate del signor Orighi, che ripetono una serie di luoghi comuni e spesso, non sempre, li argomentano con dati come minimo inesatti, quando non tendenziosi.
Ci sarebbe molto altro da dire sul danno che queste cose fanno alla Catalogna, alla sua immagine e alla sua dignità ma non vogliamo essere noiosi e ripetitivi.
Ecco le affermazioni di Orighi e le nostre argomentazioni:


“I catalani stanno perdendo la quinta partita, quella della leadership nel Paese...”
Per l’effetto di essere la capitale dello stato, Madrid gode di maggior considerazione interna e internazionale. Multinazionali con sede a Madrid 50%, con sede a Barcellona 27%

“Barcellona è stata fondata dai cartaginesi 2.241 anni fa...”
I primi insediamenti di cui c’è traccia archeologica e non leggendaria, sono iberi. Erano separati fra di loro e si chiamavano Barkeno e Laie. Se vogliamo parlare di fondazione nel vero senso della parola, dobbiamo arrivare alla Barcino romana del I secolo a.C.

“La Catalogna era il volano economico. Ma da tempo Madrid la insegue e sta per farle le scarpe. Il risultato dell'ultimo marzo registra un sostanziale pareggio”
Vero, con una differenza per quanto riguarda gli investimenti dello stato nelle due aree, tenendo     conto che la città di Madrid ha una comunità autonoma solo per lei. Alcuni dati: aeroporti Madrid, costo finale € 6.200 milioni; Barcelona € 1.258 milioni. Treni obsoleti costruiti prima degli anni Ottanta in circolazione: Comunità di Madrid 9,52%, Catalogna 37,72%. Superstrade (gratuite) costruite 1985-2005: Madrid 600 km, Barcellona 20 km. In autostrade a pagamento invece è il contrario, per ogni 10000 catalani ci sono 0,92 km e per lo stesso numero di cittadini del resto dello stato 0,59 km. quindi quasi la metà.

“Madrid, ……dal ritorno alla democrazia nel ‘78, ha ceduto potere alla Catalogna: il 50% del gettito complessivo dell'Irpef...”
Queste ed altre tasse sono quanto stabilito dalla legge non per cedere potere ma per aver trasmesso le “competenze” sulla sanità, cultura, istruzione etc.

"Barcellona gestisce ……la  magistratura”                                                                                                    Non è esatto, gestisce la giustizia nell’ambito del suo territorio, con giudici che comunque fanno una carriera statale. Uno dei problemi infatti è che molti di loro non sanno la lingua dei cittadini che giudicano, peraltro costituzionalmente riconosciuta.

"Il 25% dei catalani se ne vuole andare dalla Spagna...”
Su questo punto è molto difficile avere dati certi perché in Spagna è vietato fare referendum su questo argomento, a meno che non siano organizzati dallo stato che, evidentemente, non vuole mettere in discussione l’unità. 
Certo è il successo di partecipazione al recente referendum senza valore legale organizzato da associazioni di cittadini senza fondi pubblici, che ha portato a votare gente di 573 comuni catalani. 
Più imparziale è l’inchiesta realizzata dal Barometro della Comunicazione e la Cultura su 5.084 persone maggiori di 18 anni con la domanda “se domani si celebrasse un referendum sull’indipendenza della Catalogna, lei cosa voterebbe?”. Risultato 34% si, 30% no, 23 non so, 3% in bianco. (dati agenzia ufficiale www.fundacc.org)

"L’ex presidente “Pujol, ….. parlava in catalano sempre, e la tv era costretta, per farlo capire, a tradurlo in sovraimpressione”                                                                                                                            
Il catalano è lingua co-ufficiale in Catalogna, riconosciuta dalla costituzione spagnola e non è obbligatorio, fuori del territorio, conoscerla. Normale quindi sottotitolarla.

“Barcellona, progressista da sempre, non mantiene il ritmo della capitale, ... specchio dei tempi, i turisti vanno ormai più a Madrid che a Barcellona..."
”Dato incorretto: il turismo interno preferisce Madrid e quello internazionale Barcellona.


domenica 17 aprile 2011

Ottantamila in piazza contro Camps e a favore di TV3


Secondo ACPV, Acció Cultural del País Valencià erano ottantamila. Si sono concentrati ieri a València con il motto 'Sí a TV3, sí a la llengua, sí a la transparència' .
'erano Carles Santos a dirigere una banda musicale e diverse personalità catalane e valenciane. Dopo quattro anni che si era ritirato dalle scene, il popolarissimo cantautore Lluís Llach si è offerto di cantare per la manifestazione e le autorità della città non hanno concesso l'uso di spazi pubblici costringendo gli organizzatori a farlo cantare sopra il rimorchio di un camion.
Il governo valenciano, come noto, è in mano al pluriindagato Francisco Camps, e combatte con decisione le emissioni della catena pubblica catalana Tv3 solo perchè diffondono nella lingua di una buona parte dei valenciani, programmi di tutti i tipi. Dato che la politica linguistica del Partito Popolare in questa comunità autonoma è ben diversa da quella della Catalogna, hanno combattuto e vinto tutti i tentativi di tener aperti dei ripetitori con il risultato che Tv3 e tutti i suoi canali, come Canal33 e la tele per bambini CANAL SUPER3, nel País Valencià, non si possono vedere. Nel 2011, in uno stato come la Spagna. Difficile da credere, ma vero. http://www.vilaweb.cat/noticia/3874892/20110417/llach-canta-pais-valencia-llibertat-dexpressio.html

mercoledì 13 aprile 2011

La Catalogna ha deciso: un referendum si può fare

257.645 Votanti fanno di Barcellona la capitale del “Dret de decidir”.
La capitale catalana rompe il tabú sul fatto che le grandi città siano terreno difficile per un referendum indipendentista.
Più di settemila volontari hanno assicurato un funzionamento pacifico, democratico e perfetto delle operazioni di voto.
Quando l’11 settembre 2009 questa avventura è cominciata quasi per caso, nata spontaneamente da un gruppo di cittadini di Arenys de Munt – che di anime ne ha ottomila e ne ha portate a votare 2671- scrissi il mio primo articolo sulla politica di questo paese.
Avevo capito che era successo qualcosa di diverso ma non sapevo quasi nulla – a parte la bella immagine che tutti ne abbiamo, a condizione che si tratti di un paese lontano – del sentimento di autodeterminazione di un popolo.
In quest’anno e mezzo ho cercato di parlare con tutta la gente possibile, di leggere quello che ho potuto, di scrivere quello che ho saputo. Niente, però, mi ha dato la sensazione di questi giorni vedendo da vicino i volontari che raccolgono voti per un referendum che si sono dovuti inventare dal nulla. E che hanno portato a termine, con precisione e coerenza.
Senza retorica e senza voler fare l’analista politico, da italiano che vive in Catalogna, posso dire che qualcosa è veramente cambiato. Dopo che il 21,37% dei barcellonesi, ma anche di molti altri comuni che ieri 10 aprile, hanno deciso che un referendum si può fare su qualsiasi argomento, per votare SI o NO, le cose non saranno più come prima.

domenica 10 aprile 2011

Il diritto di decidere il proprio futuro

Sapevate che in Spagna la costituzione lascia poco spazio ai referendum popolari? Specialmente a quelli come questo, del dieci aprile -10A- che toccano temi sensibili per l'unità dello stato.
Per questo motivo oggi a Barcellona si celebra un referendum veramente popolare, cioè autogestito, senza strutture pubbliche, senza soldi senza nemmeno l'aiuto del comune perchè il sindaco socialista Jordi Hereu ha detto che "rispetta" ma non approva.
Dall'autunno del 2009 in oltre cinquecento dei 980 comuni catalani gruppi di cittadini, con o senza l'aiuto di partiti si sono autoorganizzati e autofinanziati per chiedere alla popolazione se sia d'accordo su una Catalogna indipendente e democratica nel seno dell'Unione Europea. Un milione e mezzo di persone, numero simile a quelle che si sono riunite il 10 luglio 2010 in piazza a Barcellona, una parte per protestare contro la politica catalanofobica dello stato spagnolo e un'altra per chiedere anche l'indipendenza. Al referendum di oggi e alla manifestazione dello scorso anno erano presenti anche i presidenti della Generalitat, massima istituzione catalana. Vi sembra poco?

domenica 3 aprile 2011

Un cambiamento radicale


Sull'argomento dell'indipendenza, in Catalogna stiamo assistendo ad un cambiamento della situazione rapido quanto interessante. Da teoria di pochi, l'indipendentismo sta diventando desiderio di molti.

L'impressione è che in questi ultimi anni quest’idea si sia fatta strada tra una fascia di popolazione estremamente ampia,  dopo ripetute prove da parte delle istituzioni statali spagnole di non voler arrivare ad una evoluzione plurinazionale o federalista dell'organizzazione statale.

La misura si è colmata dopo la sentenza del Tribunale Costituzionale spagnolo che ha depotenziato  molti articoli dello statuto d'autonomia catalano l’estate scorsa con la conseguenza di portare in piazza a Barcellona quasi un milione e mezzo di persone a protestare. Questo, insieme con il comportamento del “quasi ex” presidente spagnolo  Zapatero che ha eluso per anni la promessa “appoggerò” fatta per avere il voto dei catalani, ha esacerbato il cuore ed anche il portafoglio degli abitanti di un’area che da sola apporta il 20% del PIB, con il risultato che anche la parte più moderata del paese oggi ammette che non c'è più niente da fare.
Jordi Pujol, l’ottantenne ma ancora molto autorevole uomo politico che fu per 23 anni ininterrotti presidente della Generalitat de Catalunya , ha ammesso pubblicamente che per tutta la sua lunga attività politica ha cercato un modo di collaborare con la Spagna ma non c'è riuscito. Questa svolta è importante perché, come spiega molto bene Patricia Gabancho su un giornale digitale “…l’ex presidente rappresenta una grossa fetta del paese, i fedeli del cosiddetto “pujolisme”, che era un nazionalismo contenuto, emozionale, ed estremamente propenso a patteggiare, condizione che nascondeva sotto il paravento della responsabilità politica…” http://www.naciodigital.cat/opinionacional/noticiaON/1646/pujol/pas
Durante una conferenza tenuta a fine marzo presso l'Università Pompeu Fabra di Barcellona, Pujol  ha ripercorso i suoi sessant'anni di attività politica dichiarando fallito il tentativo di mediazione con lo stato ammettendo che per lui "non restano più argomenti validi per opporsi all'indipendenza!"
Poco dopo, in un'intervista a Catalunya Radio, l'ex-Presidente ha comunicato di aver votato “Si” al referendum autogestito sul dret de decidir, che da un anno e mezzo si sta svolgendo in quasi tutti i comuni di Catalogna ed è arrivato all’ultima prova, quella della capitale Barcellona.
Il quesito referendario è: “vuoi che la Catalogna diventi uno stato indipendente, nel seno dell’Unione Europea?”. Se l’uomo che, per 23 anni di fila, ha ottenuto i voti dei catalani per governare il paese decide che adesso si risponde “Si”, la cosa avrà conseguenze importanti. Aspettiamo i risultati della consultazione per confermare o meno questa tesi.









domenica 27 marzo 2011

Piscolabis


Vorrei attirare la vostra attenzione non tanto sul fatto che a poche settimane dalle elezioni comunali si facciano cerimonie come i tagli dei nastri d'inaugurazione o di POSA DELLE PRIME PIETRE, ma sull'opportunità di approfittare di un'occasione per farsi un piscolabis (aperitivo) gratis... a spese del Comune


Nel mio immaginario, la posa della prima pietra sa di foto in bianco e nero, di sindaci con la fascia, di vescovi benedicenti, di muratori in canottiera con la cazzuola ... o addirittura le foto di "lui" su un carro di fieno, che aiuta nel lavoro i contadini festosi, poi monta sopra il fieno e saluta "romanamente"...
Voglio dire che si tratta veramente di cose d'altri tempi. Figuriamoci poi quando le inaugurazioni si fanno più volte per la stessa opera, come è successo per un parco di Barcellona vicino a casa mia.
Il Comune, la Generalitat, la Diputació, il Consell Comarcal, il Consorci.... siamo noi, quindi prima di farci avanti per le patatine, ricordiamoci di passare alla cassa.

venerdì 18 marzo 2011

La Catalogna in italiano_Oriol Junqueras

Oriol Junqueras i Vies, ha frequentato la scuola media e il liceo italiano di Barcellona e per questo motivo parla la nostra lingua in maniera impeccabile. Questo gli permette di spiegarci e raccontarci le vicende della Catalogna in maniera molto efficace.


Intervista a Oriol Junqueras from Espatriati on Vimeo.



Lo abbiamo incontrato nel corso di una serata organizzata da L’AltraItalia il 1 marzo 2011 e gli abbiamo fatto alcune domande a cui ha risposto in perfetto italiano.

Gli abbiamo domandato di spiegarci in breve la storia di Esquerra Repúblicana de Catalunya, quali siano le similitudini fra politica italiana e catalana nel corso della storia, qual’è l’idea portante di ERC per le prossime elezioni al comune di Barcellona e, per ultimo, gli abbiamo chiesto di chiarire il significato di indipendentismo e nazionalismo.

venerdì 11 marzo 2011

Diritto irrinunciabile

Autodeterminazione di un popolo
Il Parlamento di Catalogna ha definito irrinunciabile il diritto all'autodeterminazione del popolo catalano. Non era la prima volta, ma quest'ultima mozione si è votata in un momento interessante. 
L'occasione era l'appoggio al referendum autogestito previsto per il 10 aprile, organizzato da Barcelona Decideix, un gruppo di associazioni di base.
Già dal 2009, dopo una prima esperienza epica ad Arenys de Munt, in tutte le città e paesi catalani si organizzano consultazioni con lo stesso quesito: vuoi che la Catalogna diventi uno stato indipendente, democratico e sociale integrato nell'Unione europea”. L'obiettivo è dimostrare che la maggioranza della popolazione sarebbe disposta a partecipare ad un eventuale referendum ufficiale. La costituzione non ammette consultazioni referendarie di questo tipo, ma la Spagna nel 1977 ha anche ratificato il Patto internazionale sui diritti civili e politici della UE che, all'articolo 1 dice: "Tutti i popoli hanno il diritto di autodeterminazione. Nell'ambito di questo diritto, essi decidono liberamente del loro statuto politico e perseguono liberamente il loro sviluppo economico, sociale e culturale ".
Momento storico interessante
Proviamo a elencare i motivi d'interesse di questo periodo: anzitutto la proposta in parlamento è stata formulata da un nuovo gruppo di recente elezione, Solidarietà Catalana per l'Indipendenza, che ha come unico obiettivo la costituzione di uno stato proprio, integrato nell'Unione Europea. Singolare il fatto che intorno a questo testo si siano riuniti partiti abbastanza lontani fra loro, come ERC, Esquerra Republicana de Catalunya e soprattutto CIU, il partito di maggioranza relativa, cui appartiene anche Artur Mas. Interessante anche sapere che i socialisti e i popolari hanno votato contro.
Tutto questo accade in un momento che vede una situazione economica che non migliora, i rapporti con lo stato centrale peggiorano, e all'orizzonte si profila la riconquista del governo spagnolo da parte dei Popolari.
Sono passati solo sei mesi dalla manifestazione di protesta contro la sentenza del Tribunale Costituzionale spagnolo di più un milione di persone e, se è vero che al momento di votare i catalani hanno tenuto i piedi per terra, non può passare inosservato che i partiti di matrice catalana cominciano a trovare punti di accordo comune. 
Fuori dal parlamento ma non dalla politica, a fine novembre è uscito ARA, un nuovo giornale multimedia in catalano, e dal maggio prossimo lo storico giornale catalano in lingua spagnola LA VANGUARDIA uscirà anche in edizione catalana.
Alcuni dicono che dai momenti di crisi nascono nuove idee e, anche se spesso si tratta di un luogo comune, stavolta siamo d'accordo.







domenica 27 febbraio 2011

I simboli danno ancora fastidio

Una domenica di fine febbraio piena di sole, in mezzo ai turisti e ai barcellonesi a passeggio sulla salita del Palau Nacional, sede del MNAC, si è finalmente inaugurata la ricostruzione del monumento delle 4 colonne di Puig i Cadafalch.
Era stato abbattuto solo per essere simbolo di identità catalana, da Miguel Primo de Rivera nel 1928 che, come tutti i dittatori, credeva di piegare un popolo con la forza delle armi e con la distruzione dei suoi simboli.
Oggi possiamo dire che non ce l'hanno fatta. Lui, Francisco Franco, e nemmeno - giusto trent'anni fa nel 1981 - il colonnello Tejero che entró sparando nell'aula parlamentare de Las Cortes di Madrid.
La storia è stata crudele ed ha lasciato sul terreno molti morti ma alla fine ha prevalso la democrazia.
Per questo non si riesce a capire il motivo di tante difficoltà, distinguo, opinioni discrepanti. Dopo che tutte le difficoltà sembravano superate, al momento di decidere la dedica proposta dalle associazioni, che indicava le colonne come "memoria dei patrioti catalani di tutti i tempi", il comune di Barcellona ha glissato sui martiri scrivendo sulla base di una delle colonne: "Restituzione, come atto di memoria storica, delle quattro colonne demolite dalla dittatura nel 1928 per il loro carattere di simbolo di Catalogna".
A questa celebrazione c'eravamo anche noi.
C'era festa, con la Coral Sant Jordi, i Castellers di Barcelona, ma c'era qualcosa che non andava, un certo disagio.
Il sindaco Hereu fischiato, anche se educatamente.
Le associazioni che hanno protestato, anche se educatamente.
Il pubblico presente gridava "independencia", educatamente.
L'impressione rimasta è un po' amara, cerimonia austera o fredda?
Non sarà, per caso, che i simboli diano ancora fastidio a qualcuno?
Noi pensiamo di si












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sabato 19 febbraio 2011

sabato 12 febbraio 2011

Alla ricerca della lampada magica di Fortuny

"Fortuny i la llàntia meravellosa" è un documentario sui contagi culturali fra oriente e occidente attraverso lla produzione di tessuti, foto e apparecchi luminosi fatta da Marià Fortuny i Madrazo all'inizio del Novecento


Marià era figlio d'arte. Nato a Granada nel 1871, fu educato a Parigi ma ben presto si trasferí a Venezia dove trascorse tutta la vita a contatto con la cultura europea, soprattutto dell'arte e della scena. Fu artista ma mise anche in produzione  e vendita molti dei suoi progetti. Instancabile ricercatore e creatore, ha lasciato una traccia indelebile nel campo dell'illuminotecnica teatrale,  una fabbrica di tessuti ancora attiva, collezioni di fotografia e di pittura.  


Claudio Zulian, nato in Italia, vive da tempo a Barcellona ed opera in tutti i campi della creazione visiva e musicale. Ha cercato di entrare, attraverso questa ricerca, nel mondo figurativo di Fortuny ed ha seguito le tracce della sua idea.
Definire questo film come documentario è, come sempre nell'opera di Zulian, mettere un'etichetta che non soddisfa. Per questo segnaliamo due occasioni per vedere Fortuny i la llàntia meravellosa:


Domenica 13 febbraio su Canal 33 alle 20:55, oppure alla mostra in corso , fino al 6 marzo 2011 al DHUB, in c/Montcada, 12 a Barcellona. 



http://www.acteon.es/contenido.php?catid=1

Italiani di Barcellona dialogano con Jordi Portabella

Le elezioni del nuovo consiglio comunale di Barcellona sono vicine.
Anche gli italiani, collettivo enorme ma quasi sconosciuto, si fanno parte attiva su temi locali.

L'ALTRA ITALIA, un gruppo molto attivo in città, propone una serata con Jordi Portabella
il candidato di ERC  Esquerra Repúblicana de Catalunya. 
L'appuntamento è per martedí 1 marzo alle 19, presso il centre cívic del Pati Llimona
sul tema:
"Quina ciutat imaginem? Italiani di Barcellona dialogano con Jordi Portabella", 




Di grande interesse l'intervento dell'eurodeputato, storico e docente universitario Oriol Junqueras sulla "Relació històrica entre l'esquerra italiana i l'esquerra catalana".

Partecipazione, proposte e idee aperte a tutti, per la citta e il paese che abbiamo scelto per viverci e che abbiamo fatto nostra.

Fins aviat!



martedì 8 febbraio 2011

Il Parlamento di Catalogna discuterà sull'indipendenza

A seguito di una proposta del partito Solidarietà Catalana per l'Indipendenza, per la prima volta nella sua storia il Parlamento della Catalogna si prepara a tenere una votazione interna per l'indipendenza del territorio.
http://www.vilaweb.cat/noticia/3845666/20110208/ciu-save-debatre-independencia-votara.html 

mercoledì 26 gennaio 2011

Sicilia e Catalogna, vocazioni a confronto

di Bianca Favaloro*



L’analisi dei  percorsi storico-costituzionali che attraverso due secoli hanno portato al riconoscimento istituzionale delle peculiarità siciliane e catalane, porta a dire che i punti di partenza delle due erano notevolmente diversi, e nonostante ciò si arrivò ad un risultato in parte simile. Nel XIX secolo le realtà siciliana e catalana apparivano ad un attento osservatore piuttosto dissimili per ciò che concerne le dinamiche sociali ed economiche, cosa che influì sicuramente anche nel modo di porsi nei confronti dei Governi Nazionali di riferimento.  La Sicilia era economicamente legata al latifondo e la classe sociale di riferimento era di conseguenza l’aristocrazia terriera, con i suoi valori ed interessi. La Catalogna, al contrario, aveva saputo approfittare di varie congiunture economiche favorevoli fino a diventare la regione più avanzata della Spagna. Questo comportava la preminenza della classe borghese sulle altre, ed il conseguente sviluppo dei valori ed interessi ad essa pertinenti. Le prime Costituzioni siciliane erano quindi espressione di questa realtà aristocratica, i primi progetti di Statuti catalani invece erano molto più progressisti, legati allo sviluppo delle teorie federaliste e regionaliste dell’epoca, e molto attenti anche alla crescente forza sociale della classe operaia. Inoltre, subito dopo l’unificazione italiana, la Sicilia si inserì fiduciosa nel contesto di governo, in Catalogna invece la spinta autonomista non cessò mai. Si moltiplicarono i progetti di Statuto d’autonomia, anche molto avanzati, dal progetto federalista di Almirall del 1868, a quello del 1883 legato alla Costituzione della prima repubblica spagnola, e per finire alla Basi di Manresa del 1892, principi su cui meditare sulla strada del regionalismo. All’inizio del XX secolo le criticità della situazione siciliana divennero sempre più evidenti tanto da far parlare di “questione meridionale”, e si moltiplicarono le teorie di politici e letterati dell’epoca sulle cause e possibili soluzioni. In Catalogna le spinte autonomiste diventavano sempre più concrete, tanto da arrivare ad una rara convergenza d’intenti tra governo centrale e Catalogna che portò all’elaborazione ed approvazione del progetto della Mancomunitat catalana nel 1914, un’integrazione tra le differenti aspirazioni autonomiste. Lo Stato non delegava né servizi né poteri, né tantomeno la gestione delle finanze. Senza attribuzioni politiche né legislative e con limiti riguardanti le competenze e le finanze, riuscì a porre, malgrado tutto, le basi per la costruzione di una Catalogna autonoma.
Dopo la fine della prima guerra mondiale, si moltiplicavano le richieste da parte dei partiti catalani per l’elaborazione di uno Statuto d’autonomia. Davanti a tutte queste pressioni, il governo Romanones costituì una commissione incaricata di redigere uno Statuto, alla quale i politici catalani non presero parte, ma anzi convocarono l’assemblea della Mancomunitat, col compito di redigerne  un altro. C’era una discrepanza giuridica notevole tra i due progetti. Il progetto di Statuto elaborato dai Catalani nel 1919 esprimeva la volontà d’autonomia politica, mentre l’ordinamento spagnolo permetteva solo un più ampio decentramento amministrativo. Il pericolo rivoluzionario incalzava ed il progetto non fu mai votato. Dopo la prima guerra mondiale entrambe le regioni furono oppresse da dittature che ne condizionarono i progetti. In Italia il ventennio fascista mise a tacere ogni forma di dissenso e di decentramento politico, tanto che alla fine della dittatura le istanze separatiste siciliane, sopite dal 1848, presero forza e vigore e furono infine riconosciute dalla nuova classe politica con lo Statuto d’autonomia Speciale del 1946. La Catalogna visse due regimi dittatoriali. Il primo di Primo de Rivera, fino al 1932, che comportò la perdita delle prerogative assegnate alla Mancomunitat. Successivamente, fino al 1939, la Catalogna fu in grado di governarsi da sè, arrivando all’elaborazione ed approvazione del suo primo Statuto d’autonomia entrato in vigore, quello del 1932. Poi la guerra civile portò alla dittatura di Franco, che oppresse la regione fino al 1978, pur non frenando mai le dissidenze che continuarono anche dall’estero, con la creazioni di veri e propri governi della Generalitat. Nel 1978 anche la Catalogna ottenne lo Statuto d’autonomia, molto avanzato e recentemente modificato. Entrambe hanno subito il tentativo di ingerenza da parte dello Stato, e fino ad ora solo la Catalogna è riuscita a dotarsi di uno Statuto d’autonomia più vicino alle esigenze odierne, mentre quello Siciliano è stato superficialmente modificato nel 2001, e si attende ancora una sua modifica consistente, tanto da prevedere anche la regolazione dei rapporti con l’Unione Europea, già regolati da quello Catalano del 2006. La sentenza emessa nel luglio 2010 dalla Corte costituzionale spagnola  ha bocciato alcuni articoli del nuovo Statuto di autonomia catalano, tra i quali il concetto di Nazione e il carattere di lingua preferenziale del catalano rispetto allo spagnolo, provocando manifestazioni di massa in tutta la catalogna. Un tentativo per riportare indietro le lancette della storia?

Bianca Favaloro si è laureata in scienze politiche all’Università di Messina con la tesi di laurea "Sicilia e Catalogna: due statuti d'autonomia a confronto" da cui ha tratto l'articolo che pubblichiamo.




giovedì 13 gennaio 2011

L'immersione linguistica

In questi giorni si sente molto parlare di argomenti relativi alla lingua catalana. Dopo la sentenza del Tribunale Costituzionale spagnolo del giugno scorso, che eliminava parti consistenti dello statuto catalano - il cui contenuto era stato ratificato dal parlamento spagnolo e approvato in referendum - il Tribunale Supremo ha cominciato ad accettare ricorsi di cittadini ed associazioni contro la legislazione autonomica catalana che stabilisce l’uso del catalano come lingua “veicolare” nella scuola e anche nella pubblica amministrazione. Per capire meglio il contenuto di queste parole non faremo una ricerca nei dizionari e in wikipedia, ma cercheremo di spiegare il peso e il significato che la questione linguistica assume in questo paese.

L’immersione è una metodologia d’apprendimento linguistico che consiste nello svolgere tutte le attività possibili in una lingua determinata. Quando, per esempio, andiamo in Gran Bretagna per imparare l’inglese – a condizione di non frequentare solo italiani - camminando per strada, facendo acquisti, lavorando, guardando la tele, andando al cinema... ci immergiamo in una lingua, e in questo modo la impariamo.
Questo tipo di insegnamento è stato adottato come strumento d’integrazione sociale, per consentire ad alunni provenienti da qualsiasi paese e lingua materna di apprendere il catalano come lingua comune, a maggioranza assoluta dal Parlamento di Catalogna nel rispetto di quanto dichiara all’art. 35 lo Statuto d’Autonomia di Catalogna*.
A nostro modo di vedere, grazie a questa scelta i catalani sono riusciti a salvare la loro lingua, quindi la loro cultura. Lo spagnolo è infatti un idioma enormemente potente che, senza una politica adeguata, avrebbe annullato il catalano anche nel proprio stesso territorio, dove si trova in una condizione minorizzata. Nel tempo si sono anche installate in Catalogna altre comunità che non parlano neanche lo spagnolo, e questo tipo di normativa ha dimostrato la sua efficacia permettendo a bambini pachistani, indiani, cinesi, rumeni di parlare almeno una lingua comune, quella di Ramon Llull.
L’Unione Europea ha riconosciuto ufficialmente il valore di questo metodo in più occasioni e la comunità internazionale lo pone come esempio da seguire. Lo stesso governo spagnolo riconosce che i giovani scolari di Catalogna hanno una conoscenza del castigliano non inferiore a quella dei loro compagni di altre comunità autonome dello stato. È verificato ed accettato quindi che il metodo non discrimina o danneggia l’apprendimento della lingua spagnola.
L’opinione rispetto a queste scelte non è la stessa per tutti i cittadini. La Spagna, dal punto di vista costituzionale, è divisa in 17 comunità autonome ciascuna con un proprio Statuto, e la Costituzione riconosce le diverse nazionalità e, quando ci sono, le rispettive lingue come co-ufficiali. Nella realtà le cose sono abbastanza diverse e molti, pur vivendo in Catalogna, non riconoscono la sua lingua come comune. 
Per questo, dopo il ricorso presentato contro lo Statuto dal Partido Popular e dal Defensor del Pueblo nominato dal PSOE, il Tribunale Costituzionale ha emesso la sentenza principale ed il Supremo si è attivato imponendo alle amministrazioni pubbliche di rivedere i propri regolamenti linguistici rispetto la presunta discriminazione del castigliano, e si appresta a ricevere i ricorsi di cittadini e associazioni.
È importante tener conto che la Catalogna ha 7,5 milioni di abitanti dei quali 1,5 sono immigrati da altri stati. Un gran parte dei rimanenti proviene da diverse generazioni di immigrazioni dall’interno della Spagna, con lingue materne come il castigliano o il gallego. 
Ció significa che, dopo la persecuzione di tre secoli e con una presenza cosí importante di persone di lingue diverse, senza la politica di tutela applicata finora, la lingua e la cultura catalane si sarebbero già estinte.


* Estatut d’Autonomia de Catalunya
Art. 35 - Drets lingüístics en l’àmbit de l’ensenyament
Dret a rebre l’ensenyament en català. El català s’ha d’utilitzar com a llengua vehicular en l’ensenyament universitari i no universitari. Els alumes tenen el dret i deure de conèixer amb suficiència el català i el castellà en acabar l’ensenyament obligatori.