venerdì 8 agosto 2014

Chi è il presidente Mas

di Giulia Villabruna  
dalla tesi di laurea «La qüestió catalana a la premsa italiana»




Concita De Gregorio, giornalista de La Repubblica e scrittrice, lo ha definito «un rivoluzionario in abito grigio» che non ama particolarmente la politica e la ritiene «un male necessario […] per realizzare quel che è possibile fare».  Egli stesso si definisce «un ottimista coi piedi per terra» e un realista. Nella sua intervista «Divorzio alla catalana»,[1] Mas spiega le ragioni del “divorzio” con il governo di Madrid e definisce un processo che egli ritiene si possa compiere in maniera civile, «restando buoni vicini». Parla anche d’integrazione e di rispetto, di un governo centrale che non rispetta i catalani, mentre invece «le nostre tradizioni, la nostra identità non hanno mai preteso di sopraffare alcuno. La nostra politica è quella dell'inclusione, dell'accoglienza, da sempre, e del rispetto». Per quanto riguarda una possibile esclusione dall’Unione Europea, Mas sostiene che sarebbe un peccato rimanerne fuori, e che conviene «trovare un regime transitorio per evitare l'espulsione dall'Unione. Faremmo comunque richiesta di rientrare» perché, continua il presidente, i catalani vogliono l’euro e vogliono anche restare nell’Unione Europea, nell’area Schengen e nella Nato. È convinto che il referendum si farà e che vincerà il sì, perché si tratta del «diritto ad andare a votare per esprimersi. Gli Stati sono fatti di cittadini. Devono poter decidere». 

Artur Mas ha confermato in una lettera al quotidiano La Repubblica[2] che «la proposta di uno stato catalano è tutto il contrario del vittimismo» e che è, all’opposto, la necessità di decidere il futuro dei catalani; le relazioni con l’Europa sono chiare: «siamo una nazione d’Europa, siamo europei, vogliamo continuare ad esserlo e vogliamo esprimerlo votando». L’occasione della lettera è emblematica: il giorno prima Mas aveva incontrato Roberto Maroni e voleva allontanarsi dal movimento leghista e da possibili strumentalizzazioni dopo la visita. Il movimento sobiranista non è mai stato l’espressione di un nazionalismo etnico, vittimista e anti-spagnolo: il catalanismo «è sempre stato civile, un elemento di modernizzazione e apertura in una Spagna tradizionalmente chiusa», e per Mas è essenziale sottolinearlo, perché la componente xenofoba del catalanismo non è mai esistita. Alla Via Catalana, spiega, c’erano persone di tutte le nazionalità e si potevano ascoltare una moltitudine di lingue diverse, e questo dimostra che «la Catalogna è una terra in cui ciò che conta veramente non è la propria origine ma il destino che si cerca». Mas ricorda anche che gli esperti internazionali collocano il caso catalano nel gruppo dei movimenti nazionali basati sullo “jus soli”, al contrario dei movimenti nazionalisti etnici, escludenti e aggressivi che rivendicano lo “jus sanguinis”. Il presidente conclude con le parole della madre di un catalano nato in Andalusia, Fermí Santamaría, essenziali per riassumere tutto il pensiero indipendentista: «Non dimenticare mai la terra che ti ha visto nascere, ma lavora e lotta per quella terra che ti vedrà crescere».  Nel suo discorso al consiglio nazionale del partito Convergència Democràtica de Catalunya,[3] Mas ha ribadito che la Catalogna non è proprietà di nessuno e che i catalani vogliono vivere in un paese normale e governarsi autonomamente.